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Heinrich Schliemann a Napoli

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giovedì, 03 giugno 2021 07:09

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Il Tesoro di Priamo presso il Museo Puskin, Mosca
Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Umberto Pappalardo, professore di Archeologia all'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e Direttore del Centro Internazionale Studi Pompeiani (CISP), e Massimo Cultraro, professore di Paletnologia e Preistoria Egea all'Università di Palermo, nonché dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I due archeologi sono tra gli autori del libro Heinrich Schliemann a Napoli, insieme a Sybille Galka, della Società e del Museo "Heinrich Schliemann" di Ankershagen, al compianto archeologo Amedeo Maiuri (1886-1963), a Carlo Knight, dell'Accademia Pontaniana, e a Lucia Borrelli, curatrice Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell'Università di Napoli Federico II. La prefazione di questo volume, pubblicato qualche mese fa da Francesco D'Amato editore, è stata curata dal dott. Paolo Giulierini, Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Schliemann, mitico scopritore di Micene, Tirinto, Orcomeno e Troia, è stato a Napoli almeno dieci volte. Nel libro si ricostruiscono con rigore documentario, sulla base dei diari, i soggiorni del grande studioso a Napoli, città che amava profondamente, nonostante non fosse più la splendida capitale europea del XVIII secolo, ma fosse divenuta nell’Ottocento socialmente problematica. Proprio a Napoli Schliemann morì il 26 dicembre 1890, prima di imbarcarsi per Atene. Durante i suoi soggiorni napoletani furono frequenti le visite a Pompei, dove conobbe Giuseppe Fiorelli, protagonista della campagna di scavi della città antica. Con Fiorelli ebbe un intenso scambio epistolare, in parte noto grazie al napoletano Domenico Bassi che nel 1927 pubblicò nell’ormai raro libro Il carteggio di Giuseppe Fiorelli, riprodotto in appendice nel saggio Heinrich Schliemann a Napoli, insieme alle trascrizioni dei diari di viaggio napoletani, i cui originali sono custoditi oggi presso l’American Academy di Atene.
Cultraro e Pappalardo hanno spiegato come Schliemann sia riuscito a diventare uno dei padri dell'archeologia, illustrando le caratteristiche e i limiti del suo metodo di scavo. Hanno parlato diffusamente del grande rapporto che legava l'archeologo tedesco alla città partenopea, soffermandosi anche sulla fitta rete di relazioni che aveva intrecciato con i protagonisti del panorama archeologico italiano e con gli esponenti più in vista del mondo della politica e della cultura, a cominciare da Giuseppe Fiorelli e Giustiniano Nicolucci. Nell'intervista è stato affrontato anche l'argomento relativo alla sparizione di molte lettere che Schliemann aveva indirizzato a Fiorelli.
Dalle parole dei due studiosi si comprende che il fascino che ancora oggi, a distanza di oltre 130 anni dalla sua scomparsa, la figura di Schliemann riesce a suscitare risiede nella capacità di sognare e nel grande spirito d'avventura che caratterizzarono la sua vita.

Prof. Pappalardo, Schliemann viaggiò molto in Italia tra il 1858 e il 1890. Nel libro Heinrich Schliemann a Napoli, pubblicato da Francesco D'Amato editore, lei ricostruisce con rigore documentario, sulla base dei diari, i soggiorni del grande studioso a Napoli, città che visitò spesso e dalla quale era solito imbarcarsi per tornare ad Atene. Cosa l’ha spinta ad affrontare una ricostruzione così precisa e puntuale dei viaggi partenopei del celebre archeologo tedesco? Con quali obiettivi è nata questa pubblicazione?
Già come studente di archeologia sapevo che il grande Schliemann, lo scopritore di Troia, era morto a Napoli, ma nulla di più. Successivamente – con l’aiuto di Sybille Galka della Heinrich Schliemann Gesellschaft - mi sono occupato della sua villa e della sua tomba ad Atene e lì ho scoperto che i suoi diari di viaggio erano custoditi presso la locale American School of Classical Studies (Schliemann era cittadino americano). Mi sono quindi concentrato sui “diari napoletani”, ma anche sui carteggi epistolari, soprattutto quelli con Giuseppe Fiorelli, Direttore degli Scavi di Pompei, ai quali Schliemann fu particolarmente legato. Di un altro importante carteggio, quello con Giustiniano Nicolucci, il fondatore dell’antropologia italiana, se ne è occupata in questo stesso volume Lucia Borrelli, Curatrice del Museo Antropologico dell'Università di Napoli, dove è confluita una bella raccolta di utensili troiani che Schliemann donò a Nicolucci.

Stando ai diari napoletani di Schliemann, che immagine di Napoli emerge? Cosa lo colpiva della città partenopea?
Benché Napoli, a partire dall’Unità d’Italia, non fosse più quella splendida capitale europea, come lo fu nel Settecento, e sembrava sempre più piombare nel degrado, Schliemann amò molto la città sia per i suoi paesaggi che per la vivacità della sua gente. Toccanti sono i suoi tributi verso la città, come i seguenti presenti nei diari:
- “Ma quantunque sia dispiacevole qui in molti rispetti, io parto da Napoli con rincrescimento e rammarico, giacché molto mi piace qui la vita e l'attività che regna nelle strade” (17 Dicembre 1858)
- “Sortendo del porto la veduta era magnifica che vi ci offrì sulla città ed i belli contorni e non credo che vi sia nel mondo intero un secondo panorama come quello” (18 Dicembre 1858).
- “Mi separo di Napoli con grandissimo rammarico e coll’intenzione di rivenire ben pronto” (1 Ottobre 1864).

Perché il nome del grande archeologo tedesco è così strettamente legato a quello di Napoli?
I viaggi di Schliemann a Napoli – documentati dalle lettere e dai diari superstiti - furono sicuramente almeno dieci. Come sempre – e del resto è quanto avviene nella vita di ciascuno - esiste un “prima” e un “dopo”, così possiamo distinguere diverse fasi, con un mutamento degli interessi e quindi con differenti focalizzazioni. I due viaggi nel 1858 e nel 1864 furono essenzialmente da “turista”. I due viaggi nel 1868 e nel 1869 furono quelli dell’ “uomo colto”, dal momento che nel 1868 si era iscritto alla Sorbona, a Parigi, frequentando lezioni di filosofia, archeologia, etnologia e geografia storica. I viaggi successivi al 1875 – dopo l’ “avventura” di Troia (1871-1873) - sono del “professionista” che intrattiene rapporti con i protagonisti della scena archeologica italiana e internazionale.
Il prof. Umberto Pappalardo
Frequenti furono le visite a Pompei, dove Schliemann conobbe Giuseppe Fiorelli, protagonista della campagna di scavi della città antica. Con Fiorelli ebbe un intenso scambio epistolare. Il carteggio tra i due, però, è avvolto nel mistero: migliaia di lettere sono sparite. Che fine hanno fatto, secondo lei, quelle lettere?
A Pompei Schliemann aveva conosciuto il giovane ispettore Giuseppe Fiorelli, che avrebbe poi rivisto a Napoli come direttore del Museo Nazionale e nuovamente a Roma in qualità di Direttore Generale delle Antichità del nuovo Regno d'Italia. Con Fiorelli ebbe un lungo sodalizio, testimoniato da un frequente scambio di lettere. Uno dei coautori del libro, Carlo Knight, spiega perché alcune di queste lettere, proprio alcune fra le più importanti, non ci sono pervenute. Gli originali furono posseduti dal napoletano Domenico Bassi, che li pubblicò nel 1927 in un libretto sull'epistolario di Fiorelli. Sfortuna volle che non solo gli originali andarono distrutti sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, ma che anche il libretto andò disperso. In Italia ne restano ancora solo due esemplari, uno a Venezia e uno a Milano. Pertanto è parso opportuno qui ristamparlo, data la sua rarità ed il suo carattere altamente informativo.

Perché il famoso "tesoro di Priamo" non venne mai esposto al Museo di Napoli?
Schliemann fu accusato dall’Alta Corte di Costantinopoli di essersi impropriamente impossessato del “tesoro di Priamo” e di averlo illegalmente trasferito da Troia ad Atene. Non essendo più ben visto dal Governo Ottomano, che allora imperava anche su Atene, pensò seriamente di trasferirsi in Italia con la famiglia e di portare con sé il "Tesoro di Priamo" in modo da esporlo in maniera permanente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Schliemann stesso scrisse al Fiorelli l’11 Gennaio del 1874:
“La ringrazio, per la Sua offerta di mettere la mia raccolta troiana nei magazzini del museo o d’esporla … Ma veggo che Lei non ha nessuna idea della grandezza della raccolta … già l’esposizione del tesoro di Priamo solo nel Suo museo basterebbe d’attrarre à Napoli dei migliai di forestieri. La domando dunque sè vuole darmi il permesso d’esporre nella camera degli oggetti preziosi del suo museo il tesoro insieme con tutte le arme di rame che vi appartengono ... La scienza guadagnerà certo moltissimo da questa espo¬sizione, perché tutti gli eruditi che ne hanno il tempo ed il mezzo verranno esaminare il tesoro e ne scriveranno la lor opinione; molto ne guadagnerà pure Napoli ed io stesso ne guadagno ciò che avrò il tesoro in sicurità ... Tosto che il tesoro sarà nel museo sarò libero d’esaminare nell’Italia meridionale ed in Sicilia i terreni da scavare; ma ricercherò solamente i siti delle antichissime città preistoriche … ”.
Sui motivi della mancata realizzazione di questo importante progetto non si sa molto, ma senza dubbio interagirono la lentezza della burocrazia italiana e la mancanza di fondi dei Ministeri del nuovo Regno d’Italia.

Prof. Cultraro, lei a Schliemann ha già dedicato il saggio L’ultimo sogno dello scopritore di Troia. Heinrich Schliemann e l’Italia (1858-1890), pubblicato nel 2018 da Edizioni di Storia e Studi Sociali. Schliemann come arrivò a diventare uno dei padri dell'archeologia?
Schliemann divenne il simbolo stesso dell'archeologia in maniera casuale, come all'insegna della casualità è stata tutta la vita di questo grande personaggio, che da un lato si presentava come un pianificatore maniacale, ma dall'alto sapeva cogliere le occasioni che la vita gli offriva. Così è stata anche l'avventura dell'archeologia. Quando si trovò a fare il primo viaggio in Turchia, nell'agosto del 1868, attraverso la conoscenza di Frank Calvert, console onorario degli Stati Uniti, colse l'occasione di trovare la chiave di lettura per avviare gli scavi a Troia. Calvert aveva già avviato da anni le prime esplorazioni. Qui c'è la casualità dell'incontro, ma anche la genialità di Schliemann, che seppe cogliere da questo incontro gli aspetti positivi. In quel momento venne definita la programmazione per le campagne successive che portarono Schliemann a confermare che quella che era la piccola collina di Hissarlik corrispondeva alla città cantata da Omero. Un misto tra pianificazione, casualità e una buona dose di fortuna che, come si sa, aiuta sempre gli audaci.

Qual è stato il legame tra lo studioso tedesco e l’Italia? Quali furono i suoi rapporti con i protagonisti del panorama archeologico italiano e con gli esponenti più in vista del mondo della politica e della cultura?
Schliemann nella sua autobiografia pubblicata nel 1881 aveva fatto espliciti riferimenti ai suoi viaggi in Italia, ma i suoi biografi hanno sempre trascurato l'aspetto relativo al suo rapporto con l'Italia. Hanno considerato i suoi viaggi italiani come semplici tappe di passaggio di questo imprenditore e uomo d'affari. Qualche anno fa, rivedendo le lettere e i diari personali, è venuto fuori un quadro completamente differente. Schliemann, che si considerava come l'ultimo degli epigoni dei viaggiatori del Grand Tour, aveva pianificato una serie di viaggi in Italia. Il primo, risalente al 1858, nasce come un'azione esplorativa all'interno delle bellezze italiane. Solo nel secondo viaggio, che è quello che precede la campagna di Troia e si colloca nella primavera del 1868, si inizia a delineare un preciso programma di relazioni. Schliemann non viaggia più casualmente, ma le sue tappe sono legate a contatti ben precisi. In questo contesto entra in gioco la città di Bologna, dove lo studioso tedesco aveva stabilito uno stretto legame col conte Giovanni Gozzadini, un nobile felsineo che era venuto alla ribalta in quegli anni, perché aveva scoperto una necropoli a Villanova, alle porte di Bologna, da cui prenderà il nome la cultura villanoviana. Schliemann rimase affascinato dal carisma del nobile bolognese. Attraverso Gozzadini entra all'interno di un circolo di studiosi che, dopo l'Unità d'Italia, arrivano ad occupare i posti centrali della Direzione Generale alle Antichità, incardinata all'interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Schliemann seppe fare tesoro delle relazioni con questi personaggi, ma non solo dal punto di vista diplomatico: in alcune lettere troviamo anche una componente affettiva molto forte. Aveva compreso che tutto passava attraverso questi alti funzionari, per cui volle servirsi di questi importanti contatti per approdare all'altro grande sogno che nutriva, un progetto molto ambizioso, sempre sulla scia delle vicende troiane: andare a ripercorrere la fuga dei Troiani dalla città in fiamme, con Enea che porta il padre Anchise sulle spalle, tiene per mano il piccolo Ascanio e si rifugia in Sicilia. Schliemann fu un uomo d'affari spregiudicato anche nella scelta delle amicizie, ma, come dicevo, seppe anche cedere alla ragion di Stato per aprirsi a rapporti umani sinceri.
Il prof. Massimo Cultraro
Quale argomento affronta nel contributo intitolato Heinrich Schliemann, Giustiniano Nicolucci e le origini anatoliche delle più antiche civiltà europee, presente nel libro Heinrich Schliemann a Napoli?
Siamo nell'ambito di relazioni personali tra l'imprenditore tedesco appassionato di archeologia e figure di spicco del mondo della cultura italiana. Nicolucci è uno dei padri dell'antropologia italiana. L'antropologo Nicolucci fu il primo ad accogliere Schliemann a Napoli. Schliemann amava profondamente la Campania e Napoli rappresentava la summa di questo mondo disordinato e caotico, ma ricco di vivacità. Napoli, inoltre, disponeva di una eccellente università presso la quale Schliemann nel 1868 iniziò a seguire le lezioni di archeologia. Napoli ha un ruolo importantissimo nella formazione dello studioso. La città partenopea ha un altro grande elemento di attrazione agli occhi di Schliemann: il Regio Museo Archeologico, che conservava le pitture e i mosaici provenienti da Pompei, da cui era profondamente affascinato. In alcune lettere racconta di aver corrotto con denaro alcuni custodi per poter restare solo nella sala con gli affreschi pompeiani. Soffriva di una vera e propria sindrome di Stendhal. Nicolucci entra in gioco perché, oltre ad essere un antropologo, era anche uno studioso di preistoria: attraverso il contatto con lui, Schliemann apprese i primi rudimenti della preistoria, come lo studio dell'industria litica. Nel 1873 fece un dono eccezionale allo stesso Nicolucci, lasciando alla raccolta personale dell'antropologo una cassetta con diversi oggetti provenienti da Troia, i primi oggetti troiani che entrarono in Italia, oggi conservati al Museo di Antropologia che porta il nome di Nicolucci, presso l'Università Federico II. Per concludere, nel mio saggio affronto il tema della formazione, della preistoria e del sogno di indagare la storia più antica dell'Italia prima di Roma, legandola alle scoperte fatte a Troia e al flusso di Troiani che avevano lasciato l'Anatolia per raggiungere la Penisola italiana.

Quali sono le caratteristiche del metodo di scavo di Schliemann? Quali furono i limiti dei suoi scavi?
Da archeologo devo dire che lo scavo da un lato è un'operazione di distruzione, di rimozione di livelli non più ricostruibili, dall'altro è interpretazione e ricostruzione di processi storici, nell’arduo tentativo di stabilire la trama delle connessioni tra manufatti e contesti. Schliemann non aveva esperienza di scavo, perché l'archeologia ai suoi tempi era prevalentemente un'archeologia di recupero, ma dimostrò di avere quello che potremmo chiamare "scavo di attenzione", ovvero un'attenzione particolare all'oggetto, ai singoli manufatti, all'interno di un contesto ben preciso. Donò all'archeologia l'esperienza che aveva maturato da giovane, quando, negli anni 1851-1852, si stabilì in California, lavorando prima come operaio, poi come proprietario di una miniera d'oro. Nel suo metodo emerge una profonda conoscenza dei principi della geologia, certamente acquisita nell’attività di cercatore d’oro. C'è già un metodo innovativo: la ricostruzione del contesto, che comprende strati, strutture e manufatti, l'attenzione per la stratigrafia. Poi c'è un altro aspetto importante che si lega alla figura di Schliemann, ovvero la cura per l'organizzazione del cantiere di lavoro: faccio riferimento alla logistica, l'altro elemento importante che lo studioso tedesco immette nel mondo dell'archeologia, come sistemi per il trasporto della terra, laboratori di restauro, depositi per materiali. I limiti del suo metodo, invece, sono il forte condizionamento esercitato dalla lettura di Omero e una generale tendenza ad una lettura forzata dei dati. Schliemann era convinto che tutta la fase preistorica di Troia appartenesse all'età di Priamo: non aveva elementi per datare, utilizzava le fonti. In questo Schliemann è figlio del suo tempo. L'altro limite, emerso verso la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, è una certa tendenza alla manipolazione di alcune informazioni: pur di rendere clamorose le sue scoperte, prendeva oggetti provenienti da diversi punti dello scavo e li ricostruiva come se fossero appartenuti a un unico contesto. Anche i testimoni, coloro che hanno assistito ai suoi scavi, confermano una spiccata tendenza a letture ed interpretazioni assai ardite, prive di elementi oggettivi di riscontro. Questo è un grandissimo limite.

Schliemann morì a Napoli il 26 dicembre 1890. Cosa sappiamo dell'ultimo periodo della sua vita? Come trascorse gli ultimi mesi?
Sappiamo che Schliemann nel 1889 riuscì a prendere parte all'ultima campagna di scavi a Troia. Soffriva di un tumore al padiglione auricolare sinistro, che poi si estese anche al destro. Tornò in Germania per farsi operare e per diversi mesi soggiornò, in assoluto riposo, in alcune località terapeutiche tedesche. Quando il suo medico gli consigliò di lasciare la Germania per un clima più mediterraneo, decise di tornare a Napoli, città che amava. Lì morì il 26 dicembre 1890, dopo essere stato in città per diversi giorni. Dopo questo lungo soggiorno di cura, pensava di salpare da Napoli alla volta di Atene per raggiungere moglie e figli. Noi di questa fase possediamo varie lettere, scritte a Napoli e indirizzate all'antropologo e medico paleopatologo Rudolf Virchow, suo caro amico. C'è una lettera molto bella in cui i due immaginano di solcare nuovi orizzonti e andare alla ricerca di nuove isole. Queste nuove isole erano le Canarie, dove Schliemann stava progettando di trasferirsi per esplorare l'archeologia di questo posto che rappresentava un punto di congiunzione tra il Mediterraneo e il continente americano. Le Canarie, inoltre, gli offrivano anche un luogo ideale di riposo: lui pensava di riprendersi presto per poter tornare a scavare a Troia.

Perché la figura del grande studioso tedesco continua ad affascinare non solo gli addetti ai lavori, ma anche il grande pubblico? Quale messaggio si augura possa arrivare a tutti coloro che leggeranno Heinrich Schliemann a Napoli?
Il fascino di Schliemann continua a perdurare: è sufficiente ricordare che ogni anno escono, in tutte le lingue, almeno una cinquantina di lavori su Schliemann. Questo dimostra l'attenzione che gli archeologi ancora hanno nei confronti della sua figura. Del resto, con lui inizia l'archeologia di campo come la concepiamo noi oggi. Lui vedeva nell'archeologia uno straordinario laboratorio di sperimentazione di nuove tecniche, di nuovi metodi finalizzati alla ricostruzione del passato.
Schliemann ha lasciato un messaggio importante che tutti noi dovremmo fare nostro: per quanto uno possa pianificare uno scavo, non si sa mai come andrà a finire. Si può organizzare un cantiere di scavo, ma al tempo stesso bisogna esser pronti a correggere il tiro in base a quello che lo scavo ci impone. Inoltre, ci sono due componenti quasi infantili che Schliemann riporta sempre nella sua biografia: la fantasia e il sogno. L'archeologia consente di librare le ali verso mondi che a volte non riusciamo a immaginare, ma che, scavando, costruiamo tassello dopo tassello. La forte componente romantica nell'archeologo deve essere affiancata da una preparazione tecnica più solida. Schliemann, attraverso la sua vita avventurosa, ha rappresentato il punto di congiunzione tra questi due aspetti. Questa è la ragione del fascino esercitato dalla sua figura, questa è la ragione per cui ancora oggi, a distanza di anni, noi continuiamo a parlare di lui.
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