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Civiltà del sole: l'archeoastronomia nella Sicilia preistorica

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venerdì, 19 luglio 2019 07:30

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Tramonto solstizio d'estate al Campanaro di Monte Arcivocalotto (PA)
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Ferdinando Maurici e Alberto Scuderi, autori, insieme al compianto ingegnere e astrofisico Vito Francesco Polcaro, del libro Civiltà del sole in Sicilia. Indicatori solstiziali ed equinoziali di presumibile epoca preistorica (Edizioni d'arte Kalós, 2019).
Ferdinando Maurici, già docente di Archeologia cristiana e medievale presso l’Università di Bologna e alla LUMSA e di Storia medievale presso l’Università di Palermo, ha condotto ricerche d’archivio in Italia e in Spagna e scavi medievali in varie località della Sicilia, a Firenze e in Spagna. È autore di numerose pubblicazioni dedicate alla storia, all’archeologia e alla topografia medievale della Sicilia.
Alberto Scuderi, membro collaboratore dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Firenze), ha organizzato e diretto una serie di campi archeologici in Sicilia, in Romania, in Oman, in Tunisia. In Sicilia ha organizzato decine di campagne di scavo in collaborazione con varie università straniere. Scopritore dei Calendari Astronomici della Valle dello Jato, dal 2010 è Direttore del Gruppo Archeologico "Valle dello Jato". Dal 2011 è impegnato nella campagna di scavo al "Castellazzo" di Monte Iato ed è Direttore Regionale dei Gruppi Archeologici d'Italia.
Molti gli argomenti affrontati nel corso della nostra interessante conversazione: dalla definizione di archeoastronomia, alla discussione dell'importanza che questa scienza ebbe in Sicilia; dalla recente pubblicazione di Civiltà del sole in Sicilia, un saggio frutto di anni di ricerca nell'ancora poco noto campo dell'archeoastronomia siciliana, alla presentazione del libro I Campanari. Grandi rocce artificialmente forate e astronomicamente orientate nel territorio a sud di Monte Iato (Sicilia, Provincia di Palermo), uno studio dove vengono ripercorse le varie fasi della ricerca che ha portato alla scoperta dei Calendari solstiziali della Valle dello Jato. I due studiosi discutono del legame esistente nel passato tra astronomia, religione, agricoltura e architettura sacra, spiegando il motivo dell'importanza dell'astronomia per gli abitanti della Sicilia preistorica e per le più antiche ed importanti civiltà sparse per il mondo.

Prof. Maurici, cos'è l'archeoastronomia?
L'archeoastronomia è una scienza di tipo accademico a metà tra l'archeologia e l'astronomia. Studia con metodi astrofici e archeologici il modo in cui le conoscenze astronomiche degli uomini del passato si riflettevano nella cultura materiale e in particolare, ma non solo, nei monumenti da essi creati. E' una disciplina estremamente complessa che può essere coltivata soltanto da veri esperti, altrimenti, come ha scritto il decano degli studi archeoastronomici, il prof. Clive Ruggles, è facile scadere nella follia. Abbiamo sempre tenuto presente le parole di Ruggles nei nostri studi, attenendoci esclusivamente a dati astronomici incontrovertibili e a rinvenimenti archeologici altrettanto incontrovertibili. L'archeoastronomia non è una disciplina per amatori o dilettanti; essa presuppone un serissimo bagaglio di studi ed esperienze.

Recentemente, insieme al compianto prof. Vito Francesco Polcaro e allo studioso Alberto Scuderi ha dato alle stampe il libro Civiltà del sole in Sicilia. Indicatori solstiziali ed equinoziali di presumibile epoca preistorica, una ricerca approfondita e documentata nel campo dell’archeoastronomia siciliana. Che ruolo ebbe l'archeoastronomia in Sicilia?
Prof. Maurici: E' un dato che sono stati trovati quasi in tutte le province siciliane almeno una quarantina di indicatori solstiziali e in pochi casi equinoziali sotto forma principalmente di grandi fori artificialmente aperti nelle rocce e orientati alle albe e/o ai solstizi e agli equinozi; o si tratta di monumenti costruiti sovrapponendo gli architravi ai pilastri preesistenti o, in qualche caso, accostando due massi, in modo da creare una finestra volutamente, o intenzionalmente orientati in direzione di uno dei fenomeni solstiziali che si voleva inquadrare. Il fatto che siano circa quaranta monumenti esclude in maniera totale la casualità di tali fatti e testimonia la presenza di una vera e propria rete di osservatori solstiziali. Si potrebbe addirittura usare la parola di calendari solari, perché alcuni illustri archeoastronomi, come il prof. Edoardo Proverbio dell'Universi di Cagliari, ritengono che le civiltà megalitiche fossero già in grado di contare i giorni dell'anno con ottima approssimazione. Un altro dato incontrovertibile, oltre il preciso orientamento di tali osservatori, è che nelle vicinanze quasi sempre compare ceramica preistorica, in particolare dell'Età del Bronzo antico, che in Sicilia si data all'incirca fra il 2200 e il 1400 a.C. In tale periodo l'azimut solare era quasi identico a quello attuale, non differendo se non di misure inferiori a un grado. Ovviamente una più precisa datazione dei singoli monumenti potrà essere realizzata solo con singole campagne di scavo stratigrafiche dedicate a un numero sufficiente di siti e solo allora sarà possibile parlare con maggiore certezza dell'età di questi monumenti che, però, sin da subito possiamo escludere appartengano ad epoche storiche, per il fatto che le più antiche civiltà storiche insediate in Sicilia, quali Fenici e Greci, avevano già un computo del tempo sviluppato e sostanzialmente esatto.
Ferdinando Maurici e Alberto Scuderi, Indicatore solstiziale biforo di San Cataldo (CL)
Perché nel titolo si parla di "civiltà del sole"?
Prof. Maurici: Il titolo del libro è una citazione del titolo di un'opera di archeologia molto nota negli anni '70, Civiltà al sole di C.W. Ceram, in realtà pseudonimo dello studioso tedesco Kurt Wilhelm Marek. E' una citazione erudita che, però, troverà una sponda nei monumenti probabilmente preistorici che nel nostro libro sono illustrati. E' utile ricordare che la testimonianza forse più antica sulla Sicilia la troviamo all'interno del XII libro dell'Odissea, in cui la Trinacria è definita "la terra dove pascolano i buoi e le vacche sacre al dio Sole". Nel libro Civiltà del sole in Sicilia vengono esaminati circa 40 monumenti con precisi orientamenti solstiziali, e in pochi casi equinoziali, di cui abbiamo verificato tanto l'orientamento con idonea strumentazione che, per oltre la metà di essi, l'effettivo funzionamento al 21 dicembre e/o al 21 giugno.

Prof. Scuderi, a proposito di monumenti astronomicamente orientati, lei è lo scopritore dei Calendari Astronomici della Valle dello Jato: U Campanaru su Monte Arcivocalotto, una grande roccia con fori artificiali, e U Campanaru ra Pirciata, pietra forata sita su Cozzo Perciata, tra San Cipirello e Camporeale. A questi due indicatori solstiziali ha dedicato il libro I Campanari. Grandi rocce artificialmente forate e astronomicamente orientate nel territorio a sud di Monte Iato (Sicilia, Provincia di Palermo), scritto insieme a Ferdinando Maurici e a Vito Francesco Polcaro. Come siete arrivati a questa scoperta? Ci racconti pure le principali tappe della ricerca che ha portato alla scoperta di questi calendari solstiziali...
Il Campanaro è un grande masso roccioso situato su Monte Arcivocalotto, sulle pendici meridionali di Monte Iato, in provincia di Palermo. Gli abitanti lo chiamano U campanaru, "il campanile", forse perché ricorda la sommità di un campanile. Al centro di questo masso roccioso c'è un grande foro dal diametro di circa due metri. Nel 1996 facevo parte della locale sede dei Gruppi Archeologici d'Italia e stavo facendo una ricognizione del territorio nel tentativo di trovare qualche indizio che si collegasse a Pizzo Pietralunga. Intuii di essere in presenza di un indicatore astronomico, però mai nessuno aveva "osato" parlare di una pietra solstiziale: nel 1996 di archeoastronomia in Italia si discuteva relativamente da poco. Subito parlai di questa scoperta con il mio carissimo amico Sebastiano Tusa, il quale disse che i tempi non erano maturi e che ci avrebbero presi per pazzi, se avessimo definito questo masso un indicatore astronomico. Nel 2000, in occasione di un convegno a Roma, incontrai il professor Marcello Raineri, che invitai a San Cipirello per fargli vedere di persona il masso in questione. Lo accompagnai a fare il sopralluogo; insieme effettuammo le misurazioni e subito egli giunse alla conclusione che si trattava di un sito orientato astronomicamente. Per undici anni, dal 2000 al 2011, non se ne parlò più. Nel 2011, a Paestum, nell'ambito della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, si tenne un convegno di archeoastronomia in occasione del quale conobbi il prof. Vito Polcaro, ingegnere e astrofisico. Subito gli mostrai le foto che avevo fatto alla pietra. Appena le vide, mi disse che si trattava di un calendario astronomico e mi invitò ad andare sul posto il 21 dicembre per verificare l'eventuale allineamento del foro con una delle principali direzioni astronomiche. Mi recai lì il giorno del solstizio d'inverno insieme a Francesca Mercadante e a Pippo Lo Cascio. Ricordo che era pieno di neve. Tutti e tre constatammo che all'alba il sole entrava perfettamente al centro del foro del masso. Subito avvisai un giornalista locale, che diede la notizia sul Giornale di Sicilia. L'anno seguente Polcaro, nei giorni a ridosso del solstizio d'inverno, venne a San Cipirello per verificare di persona l'allineamento dell'asse centrale del foro con il sorgere del sole ed effettuare le dovute misurazioni, che non fecero altro che confermare che si trattava di un calendario solare, scartando la possibilità di un allineamento casuale.
A cinque metri di distanza dal foro ho scoperto una pietra, su cui sono incise una figura fallica e tre figure triangolari, simboli di fertilità, e un menhir, perfettamente in asse con la pietra forata.
Oltre a questa pietra forata, orientata all'alba del solstizio d’inverno, anche su “Cozzo Perciata”, tra San Cipirello e Camporeale, sono state trovate tracce di una seconda pietra artificialmente forata. Questa pietra, astronomicamente orientata all'alba del solstizio d’estate, è chiamata dagli abitanti della zona U Campanaru ra Pirciata o Cozzo Perciata, ovvero "roccia bucata", e si trova a circa otto chilometri dal Campanaro di Monte Arcivocalotto. Oggi rimane solo il basamento; la sommità è crollata tra gli anni Sessanta e Settanta. I contadini più anziani ricordano che quando il sole faceva il suo ingresso nella roccia, era giunto il tempo di mietere.
Nel mezzo fra i due Campanari si trova Pizzo Pietralunga, una sorta di santuario dove abbiamo rinvenuto materiale fine e pregiato che ha fatto pensare che quella pietra che domina incontrastata su tutto il territorio fosse utilizzata come luogo di scambio e di culto e, forse, anche di pellegrinaggio. La nostra intuizione è stata poi confermata grazie alla scoperta dei due indicatori solstiziali: all'alba del solstizio d'estate il sole tocca la cima di Pizzo Pietralunga e veniva inquadrato all'interno della roccia forata di Cozzo Perciata; all'alba del solstizio d'inverno, invece, il sole sorge all'interno della roccia forata di Monte Arcivocalotto e sfiora la sommità di Pizzo Pietralunga.
Nei giorni corrispondenti ai solstizi, sotto Pizzo Pietralunga si tenevano le riunioni cultuali dei popoli preistorici; in questi momenti di celebrazione e ringraziamento si assisteva probabilmente allo scambio di materiali e ceramiche.
Il Trilite di Custonaci (TP) all'alba del solstizio d'estate
Perché non si può ipotizzare la casualità di questi due allineamenti solstiziali?
Prof. Scuderi: Supporre la casualità di tali fatti è fuori della realtà. Ipotizzare la casualità di due allineamenti solstiziali complementari per due rocce forate artificialmente, di tipo analogo ed ubicate all'interno della stessa zona, si scontra con ostacoli statistici insuperabili.

Prof. Maurici, che legame c'era nel passato tra astronomia, religione, agricoltura e architettura sacra?
Gli uomini del passato, fino almeno al Medioevo, ma anche oltre, avevano col cielo e con gli astri un rapporto che noi abbiamo completamente perduto. I grandi navigatori dell'antichità, come i Greci e i Fenici, quando si spingevano in alto mare, lo facevano con il solo aiuto dell'osservazione del cielo stellato. Lo stesso si può dire per Cristoforo Colombo o Vasco da Dama, scopritore della Via delle Indie. E' un fatto ben noto a chiunque che, per limitarci all'antichità classica, gli astri erano considerati divini, basterà un solo esempio: nell'antichità tarda il Cristianesimo dovette contrastare con altre religioni tendenzialmente monoteiste, come il culto di Mitra e il culto del Sol Invictus. Ebbene, la nascita di Cristo, sole del mondo, fu fissata al 25 dicembre, giorno della festa pagana del Sol Invictus, nei giorni del solstizio d'inverno.
Quanto all'osservazione del cielo a fini agricoli, basta pensare alle indicazioni presenti nell'opera di Esiodo. In definitiva, possiamo dire che in un passato giunto fino a pochi secoli fa, l'osservazione del cielo e degli astri faceva parte della vita quotidiana dei nostri antenati e non vi è stato per millenni monumento importante che non fosse costruito anche in base a precise relazioni astronomiche.

Perché l'astronomia occupava uno spazio così importante presso le più antiche ed importanti civiltà sparse per il mondo?
Prof. Maurici: Per il fatto che la vita quotidiana e la percezione religiosa del creato non erano due esperienze separate come lo sono oggi. L'uomo viveva immerso nel sacro, riteneva che il bene, in primo luogo l'abbondanza dei raccolti, provenisse dalla benevolenza degli dèi, i quali erano identificati in primo luogo con astri celesti e, inoltre, immaginati come abitatori delle profondità marine e dello stesso sottosuolo. La natura era, quindi, tutta sacra e l'uomo viveva immerso in questa sacralità.

Prof. Scuderi, il mese scorso è stato impegnato negli scavi al "Castellazzo" di Monte Iato. Cosa sappiamo del "Castellazzo"? Che materiale è stato rinvenuto finora? L'ultima campagna di scavo ha prodotto nuove acquisizioni?
A partire dal 2011, ogni anno, nei mesi di maggio e giugno, scaviamo al "Castellazzo" di Monte Iato sotto la direzione del prof. Ferdinando Maurici. Stiamo scavando una fortezza ossidionale, ossia un castello in pietra costruito durante i due assedi di Federico II alla città ribelle di Iato negli anni tra il 1221 e il 1224 e nel 1246. L'evidenza archeologica induce a sostenere che il castello d'assedio venne utilizzato entrambe le volte. I rinvenimenti comprendono ceramica tutta databile all'epoca di Federico II, monete quasi tutte di Federico II e frammenti di armi, quali punte di freccia, punte di pugnale e bicchieri in vetro, dadi in avorio e una cassettina decorata, ossa relativa ai pasti che si consumavano. E' stato frequentato due volte, perché abbiamo trovato mura che sono state erette sopra mura precedenti.

Attualmente state lavorando a qualche progetto?
Certo: arrivano in continuazione segnalazioni da tutta la Sicilia, quindi ci dedicheremo alla verifica e alla classificazione di questi nuovi indicatori. Inoltre a settembre inizieremo la XII campagna di scavi al Castellazzo di Monte Iato.

Cosa vi augurate per il futuro dell'archeoastronomia in Sicilia?
Ci auguriamo che come è stata gradualmente riconosciuta in tutto il resto d’Italia venga riconosciuta anche in Sicilia, specialmente dopo le nuove acquisizioni di questi giorni, relative al restauro del quadro della Madonna di Custonaci, ove, dopo la pulizia, è comparsa la figura di un trilite identico alla porta del sole trovata proprio nel territorio di Custonaci. Come possiamo vedere, l’archeoastronomia in Sicilia è in continua evoluzione.
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