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Rosanna Oliva de Conciliis, una vita per la Parità

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domenica, 17 marzo 2019 08:14

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Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Rosanna Oliva de Conciliis (Rosa Oliva per l’Anagrafe), Presidente dell'associazione Rete per la Parità. Nel 1958, dopo essersi laureata in Scienze Politiche, presentò domanda per il concorso alla carriera prefettizia, ma la domanda venne respinta. A quei tempi, infatti, soltanto gli uomini potevano accedere ai più importanti concorsi pubblici. Rosanna, però, non si diede per vinta e decise di fare ricorso alla Corte costituzionale che, con una storica sentenza, le diede ragione, riconoscendo alle donne il diritto di partecipare ai concorsi pubblici.
Nel corso della nostra intervista, questa tenace ed elegante signora, nel 2010 nominata Grande Ufficiale della Repubblica Italiana, ha ripercorso le tappe della battaglia che portò alla rimozione della legge che, in contrasto con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, precludeva alle donne l'accesso alle principali carriere pubbliche. Ha parlato anche dei libri Cinquant’anni non sono bastati. Le carriere delle donne a partire dalla sentenza n. 33/1960 della Corte Costituzionale, scritto insieme alla prof.ssa Anna Maria Isastia, e Cara Irene, ti scrivo..., dedicato alla nipotina.
Fervente attivista, ha ribadito più volte l'importanza di sensibilizzare le bambine e i bambini in merito alla storia delle donne e alla difesa della parità di genere, per far capire loro che è facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia e che le conquiste e i diritti ottenuti sono frutto di una dura lotta di donne coraggiose e tenaci che non hanno piegato la testa e si sono ribellate contro ataviche discriminazioni.
Nelle sue parole l'auspicio di un cambiamento culturale profondo, affinché la parità dei diritti e le pari opportunità siano realtà e nascere donna in Italia non sia più un ostacolo.

Dott.ssa Oliva de Conciliis, nel lontano 1958, dopo essersi laureata, presentò domanda per il concorso alla carriera prefettizia. La domanda venne respinta; a quei tempi, infatti, soltanto gli uomini potevano accedere ai più importanti concorsi pubblici, in base ad una legge che contrastava gli articoli 3 e 51 della Costituzione. Davanti a quel rifiuto, Lei trovò la forza di fare ricorso alla Corte costituzionale, che nel 1960, con una storica sentenza, le diede ragione, riconoscendo alle donne il diritto di partecipare ai concorsi pubblici. Si trattò della prima innovazione in materia di parità, la più importante. Cosa la persuase a non darsi per vinta e a rivolgersi alla Corte Costituzionale? Chi la sostenne in questa battaglia a favore dell'eliminazione delle discriminazioni contro le donne per l'accesso alle carriere pubbliche? Ci racconti pure le tappe fondamentali della battaglia che portò alla rimozione della legge che contrastava l'Art. 3 e l’Art. 51.
Mi laureai in Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma nel 1958 e decisi di presentare domanda a vari concorsi, compreso quello per la carriera prefettizia, anche se sapevo che, come donna, mi mancava il requisito scritto nel bando dell’appartenenza al sesso maschile. Fui convocata qualche tempo dopo in Commissariato, dove un maresciallo, piuttosto mortificato, mi disse: “Dottoressa, le devo comunicare che la sua domanda è stata respinta”. Gli chiesi di metterlo per iscritto e con quel foglietto andai dal professor Costantino Mortati, che era stato componente dell’Assemblea costituente, con il quale mi ero laureata con una tesi in diritto costituzionale. Il ricorso fu presentato e il 13 maggio del 1960 la sentenza n. 33 della Corte costituzionale aprì alle donne le carriere che comportano l’esercizio di diritti e potestà politiche, come appunto la carriera prefettizia e la diplomatica. Nel 1963 con una legge, su iniziativa dell’on.le Maria Coccu, furono abolite tutte le altre discriminazioni, salvo l’accesso alle carriere militari, aperte solo trentasei anni dopo, nel 1999.
Cosa sapeva a quell'epoca del movimento femminista?
Non sapevo nulla del movimento femminista né delle suffragette, però mi aveva colpito la contraddizione fra ciò che avevo studiato della Costituzione e una realtà che continuava a negare i miei diritti e quelli delle mie coetanee. La Costituzione sanciva, con l'articolo 3, il principio di uguaglianza tra i sessi davanti alla legge e con l'articolo 51 ribadiva l'uguaglianza tra uomini e donne nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Una legge nata prima della Costituzione escludeva le donne dalle carriere che implicavano diritti e potestà politiche (in effetti, nel 1919 le donne non votavano ancora), dalla magistratura e dalla carriera militare. Vinsi e l'impatto fu forte. Curiosità, servizi sui giornali, fotografi...

Perché oggi, a distanza di quasi sessanta anni da quella sentenza, noi donne siamo spesso costrette a scegliere tra carriera e famiglia e siamo ancora vittime di ataviche discriminazioni? Perché l’uguaglianza di genere in Italia è spesso un'utopia e sempre più frequentemente non si concretizza quanto affermato dall'articolo 3 della Costituzione?
In tutti questi anni ci sono stati progressi significativi nell’accesso delle donne all’impiego pubblico. Non ci sono più barriere formali all’accesso. E’ ormai dimostrato che le donne sono in grado di ricoprire ogni incarico, anche ai massimi livelli, ma ancora le carriere sono difficili. Un esempio: pur essendo numericamente prevalenti le donne in magistratura, ancora nessuna è arrivata a ricoprire la carica di Primo presidente della Corte di Cassazione e poche sono le donne nel Consiglio Superiore della Magistratura. E persiste anche nel settore pubblico la disparità salariale, che riguarda non lo stipendio contrattuale, ma deriva appunto da carriere più lente, da minori incarichi, missioni e straordinari e via dicendo. Due sono le cause che impediscono di passare dall’uguaglianza formale a quella sostanziale. Le donne sono più brave quando vale il merito, ma si trovano in difficoltà quando prevalgono altri fattori, come il fare squadra. Partiamo da secoli, anzi millenni di prevalenza maschile e noi siamo ancora delle intruse. In Italia, poi, il lavoro extrafamiliare è ostacolato dai carichi di cura quasi esclusivamente addossati alle donne. In misura più grande dove alla scarsa collaborazione in famiglia da parte degli uomini si aggiunge la scarsità dei servizi sociali. Lo dimostrano i dati diversi al Nord e al Centro rispetto al Sud.

Nel corso della sua carriera è stata consulente giuridica per la Camera e il Senato. Nel 1999 è diventata Segretaria particolare di una Sottosegretaria, prima all’Interno e poi alla Sanità. Che ricordo ha di quegli anni vissuti nei Palazzi del Potere?
Sono stati anni con molte soddisfazioni, collaboravo alla stesura di proposte di legge, di interrogazioni, ai discorsi in Parlamento. Un lavoro al quale aspiravo dagli anni in cui studiavo Scienze Politiche. Ho potuto vedere da vicino cosa avviene in quei Palazzi e credo di riuscire ad interpretare, da allora, meglio cosa avviene, al di là di quello che appare. Ho potuto influire per far approvare leggi in cui credevo, per i diritti delle donne o come quella per facilitare la prescrizione dei farmaci oppiacei per il dolore severo o per creare la rete di cure palliative. Temi ancora oggi all’attenzione pubblica. Sono stati anche anni faticosi, intensi, impegnativi: avevo ancora responsabilità familiari verso i miei due figli e mia madre vedova. Ero sempre alla ricerca di un equilibrio nella divisione del tempo. Soprattutto quando lavoravo per il Governo e spesso tornavo a casa solo dopo quattordici ore di assenza.

Indomita attivista, nel 2006 ha fondato Aspettare stanca e nel 2010 la Rete per la Parità. Attualmente in quali progetti è impegnata?
Col passare degli anni i miei impegni associativi si sono moltiplicati. Dopo essere stata attiva prima come rappresentante dei genitori nelle scuole dei miei figli, poi in associazioni che si occupano della difesa dell’ambiente e della vivibilità della città in cui vivo, Roma, e in particolare del Municipio XV, vasto quanto la città di Milano e con una popolazione pari a città di medie dimensioni, ho fondato "Aspettare stanca" per favorire la presenza in politica e nei luoghi decisionali di donne qualificate. Nel 2010 ho fondato e tuttora presiedo la "Rete per la Parità", per passare dalla parità formale uomo-donna a quella sostanziale. Come se non bastasse, nel 2016 ho aderito all’associazione ”ASviS - Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile”. Siamo oltre duecento tra associazioni, sindacati e fondazioni impegnati a far conoscere l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile e a far rispettare gli impegni presi dall’Italia. Coordino il Gruppo di lavoro per l’Obiettivo 5- Parità di genere. In questo più recente impegno si trovano unite le mie passioni: la difesa dell’ambiente e la promozione dei diritti delle donne.
Rosanna Oliva de Conciliis dal trailer del Programma Le Ragazze (Rai 3)
Nel 2010 l'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale. Cosa ha provato quando le hanno comunicato la notizia?
La prima prova di attenzione del Presidente Napolitano all’importanza della sentenza mi arrivò a sorpresa ascoltando l’otto marzo 2010 il discorso al Quirinale, nel quale, oltre a citare i cinquanta anni della sentenza, il Presidente precisò anche che era dovuta ad un mio ricorso e che ero tra le persone presenti. In estate, poi, mi arrivò l’onorificenza. Rimasi emozionata e ne fui felice. Entrambe le cose sono legate al contatto che come "Aspettare stanca" avevamo avuto già negli anni precedenti con la dottoressa Claudia Galimberti, che all’epoca curava per il Quirinale i rapporti con le associazioni. Una donna molto impegnata per i diritti delle donne, purtroppo recentemente scomparsa.

Il libro Cinquant’anni non sono bastati. Le carriere delle donne a partire dalla sentenza n. 33/1960 della Corte Costituzionale, scritto insieme alla prof.ssa Anna Maria Isastia, si apre con una lettera che dedica alla sua nipotina Irene. Quanto è importante parlare alle nostre bambine e ai nostri bambini in merito alla storia delle donne e alla difesa della parità di genere, per far capire loro che le conquiste e i diritti ottenuti, che oggi sembrano scontati, sono frutto di una dura lotta di donne coraggiose e tenaci che non hanno piegato la testa e non si sono mai date per vinte?
Come tante persone che raggiungono la terza età, cerco di affidare la mia testimonianza ai libri. Nel 2016 ho pubblicato insieme con la miscellanea curata da me e dalla Professoressa Isastia, che raccoglie ventisei contributi su Come eravamo, Come siamo e Come saremo, anche Cara Irene, ti scrivo... per passare il testimone alle bambine e ai bambini di oggi. Il futuro preoccupa e iniziano a occuparsene giustamente anche loro. Lo dimostra lo sciopero per l’ambiente di venerdì 15 marzo lanciato da una ragazza sedicenne, che ha riempito le piazze nel mondo.

Cinquant'anni non sono bastati... Proprio così, purtroppo! Quanti anni ancora dovranno passare, prima che la parità dei diritti e le pari opportunità siano realtà? Cosa possiamo fare tutte noi per far sì che nascere donna non sia più un ostacolo?
Servono leggi e cambiamenti culturali. In Italia abbiamo sicuramente leggi avanzate, ma le barriere formali non sono state del tutto eliminate. Quella meno conosciuta riguarda la legge n. 91 del 1981 che impedisce alle donne sportive di diventare professioniste. Servirebbe una legge di modifica, ma si dovrà ancora una volta ricorrere alla Corte costituzionale? Un altro esempio è quello dei cognomi. Fino al 1975 una legge imponeva alle donne coniugate di assumere il cognome del marito. La riforma del diritto di famiglia, risalente a quell’anno e ancora in vigore, prevede che la moglie aggiunga al proprio il cognome del marito. E il marito?
E la riforma del diritto di famiglia non ha normato il cognome dei figli e delle figlie. L’Italia è l’unico paese europeo in cui la legge impone ancora la trasmissione del solo cognome del padre, con un’evidente lesione del diritto all’identità e del principio dell’uguaglianza tra i sessi e tra i coniugi, sanciti dagli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione. Una discriminazione che non si è riusciti ad eliminare del tutto con la sentenza n. 268/2016 della Corte costituzionale, ancora poco conosciuta, che vale solo se entrambi i genitori sono d’accordo. Servirebbe una legge, ma non è stata tra le priorità del Parlamento nella scorsa Legislatura e non so se sperare in questo Parlamento.
Sui risultati culturali importanti, vale la pena di ricordare che il movimento femminista della seconda metà del secolo scorso ha portato a sostituire al principio dell'uguaglianza quello della parità, che tiene conto della differenza, e questo ha inciso in maniera molto positiva sull’evoluzione della politica e degli ordinamenti.

In tante dovremmo dirle grazie per il suo impegno e la sua tenacia. Cosa si augura per il futuro delle donne in Italia? Cosa si sente di dire alle ragazze di oggi? Quale incarico, quale missione vorrebbe affidare loro?
Spero che si allontanino le minacce di passi indietro, davvero preoccupanti, che si manifestano non solo in Italia. Ricordiamoci che nel 1938 il fascismo, in contemporanea con le leggi razziali, emanò un Decreto legge, convertito in legge nel 1939, per limitare al dieci per cento la percentuale massima delle donne nelle carriere pubbliche, esaltando contemporaneamente il ruolo delle madri. E’ ben noto quello che occorrerebbe fare, ma in Italia non è scattata, come invece è avvenuto da molti anni nella maggior parte dei paesi europei, la decisione di affrontare in maniera concreta la questione dello scarso numero di donne occupate, soprattutto al Sud, e della difficoltà di conciliare lavoro e cure familiari da parte delle donne, per la scarsa condivisione dei compiti di cura e la mancanza di servizi. E’ noto che questo è anche il sistema per aumentare la natalità, il contrario di quanto si blatera da alcune parti. Si dovrebbe intervenire con piani incisivi, a vantaggio non solo delle donne, ma del Paese.
Abbiamo fatto molta strada. Pensiamo, per esempio, alle conquiste in tema di emancipazione dopo le battaglie femministe degli anni '70. Ora, però, le ragazze danno per scontate molte cose, dimenticando la fatica per ottenere conquiste, diritti. E' facile tornare indietro se non si tiene alta la guardia. Poche, ancora pochissime le donne nei posti di comando. Ci sono ancora obiettivi da raggiungere, ostacoli da rimuovere. Non dobbiamo adagiarci, ma continuare a lottare “per la parità fra diseguali", come mi piace affermare. Non credo, infatti, sia necessario rifiutare la differenza fra i sessi. E' pericoloso, è sbagliato. Usiamo le nostre qualità, le nostre doti, senza imitare i maschi.
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