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Elena Ianni: le feste e i falò del Messico

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domenica, 17 febbraio 2019 19:18

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Dia de muertos, Michoacàn
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Elena Ianni, dottoressa in scienze ambientali che nel 2016 ha pubblicato il libro La festa e i falò. Guida paesologica del Messico, ovvero quel che le feste raccontano di noi, una guida in cui si racconta il Messico attraverso le feste religiose che si svolgono nei suoi paesi. In particolare, la guida racconta di pueblos appartenenti agli stati di Veracruz, Michoacàn, e Chiapas, posti nei quali l'autrice ha vissuto. Nel corso della nostra intervista, la studiosa ci svela cosa si può capire di questi pueblos attraverso l'osservazione delle feste religiose e, soprattutto, cosa rappresentano le feste per la comunità. Parla dell'importanza dei falò presso le popolazioni messicane, spiegando il significato profondo e l'origine dell'usanza di riunirsi attorno al fuoco durante le feste.
La Ianni ci confida i ricordi più belli del suo Messico magico e simbolico: rievoca le danze rituali delle comunità indigene e si sofferma sull'eleganza degli abiti delle donne del Chiapas, tutti riccamente ricamati, svelandoci l'arcana simbologia celata in quegli indumenti così raffinati.
Ampio spazio è dedicato alla spiegazione della maniera in cui i popoli messicani concepiscono il rapporto con il divino e con il mondo naturale: le parole della studiosa sottolineano il forte legame della comunità con i propri santi protettori, considerati parte della comunità, tanto che indossano gli abiti tradizionali del loro pueblo; se la comunità li onora, i santi riverseranno su di essa benedizioni di ogni tipo e buoni raccolti. Dei santi l'autrice evidenzia anche la loro relazione con le divinità precolombiane: ciò gli fornisce l'occasione per spiegare come la dominazione cattolica si sia appropriata della cultura indigena, una cultura così radicata, che ancora oggi sopravvive tenacemente.

Dott.ssa Ianni, nel 2016 ha dato alle stampe il libro La festa e i falò. Guida paesologica del Messico, ovvero quel che le feste raccontano di noi. Quando è nato in Lei l'interesse per il Messico e cosa L'ha indotta a raccontarlo in una guida attraverso le feste religiose che si svolgono nei suoi paesi? Cos'è esattamente una guida paesologica?
Ho vissuto in Messico per qualche anno; lavoravo all’Università, ma non ne ho mai scritto mentre ero là. La paesologia è la scienza inventata da Franco Arminio per studiare i paesi della sua terra, l’Irpinia. Il paesologo è colui che va a visitare i paesi in cui non va nessuno, si reca nelle piazze, nei cimiteri, nei bar e si siede sulle panchine. Arminio dice che la paesologia è "andare verso il minimo e il minore. È un muoversi verso il residuo, lo sgraziato, il non visto. Non è e non può essere una ricognizione dell’eccezionale, dell’inaudito e del memorabile". L’aggettivo “paesologico” del titolo del mio libro è una sorta di omaggio a questa visione. Questa “guida” che parla di piccoli paesi del Messico è dedicata a coloro che amano viaggiare prestando grande attenzione ai dettagli (che rivelano moltissimo).

Come dichiara Lei stessa nell'introduzione al libro, racconta soltanto di pueblos appartenenti agli stati di Veracruz, Michoacàn, e Chiapas, tutti e tre sconsigliati dal sito "Viaggiare sicuri" della Farnesina. Come mai ha operato questa scelta? Come si riesce a fare festa in un ambiente così fortemente minacciato dal denaro del narcotraffico e dalla corruzione?
Racconto dei luoghi nei quali ho vissuto, non li ho scelti per questo libro. Capisco la sua domanda e le dico che sì, in Messico la vita è fortemente minacciata dal denaro del narcotraffico e dalla corruzione. Ma d’altronde Le chiedo (e mi chiedo): e come si riesce a vivere in un ambiente così? Fare festa è un po’ vivere e un po’ resistere.
Processione in onore di Santa Maria, Magdalenas de Los Altos (Chiapas).
Cosa rappresentano le feste per la comunità e cosa raccontano della vita comunitaria? Cosa si può capire di questi pueblos attraverso l'osservazione delle feste religiose? Quali feste ha scelto di inserire nel Suo libro?
Dicono i vecchi che ogni santo ha scelto un paese, con cui ha fatto un patto di protezione; la comunità rinnova regolarmente quel patto e organizza una festa per onorarlo. Se il santo rimarrà contento della festa e sarà orgoglioso del suo popolo, lo proteggerà per tutto l’anno. Questa guida osserva e descrive le feste patronali perché sono una rappresentazione reale e concreta dell’utopia della vita comunitaria. Questa non può essere piena, se non regna l’armonia nel lavoro, l’allegria e la disponibilità a condividere ciò che si ha. Le feste sono per la comunità il momento in cui si ricreano i lacci sociali che si sono allentati durante l’anno trascorso e in cui si tesse la vita.

Quanto all'importanza dei falò presso queste popolazioni, cosa rappresenta la pratica di riunirsi attorno ad un falò durante le feste? È possibile ravvisare qualche somiglianza con l'usanza italiana dei "falò di Sant'Antonio", che ancora oggi in alcune regioni è molto radicata e si accompagna spesso a canti e danze popolari?
Il titolo del libro allude al falò di Cherán, un paese dello Stato del Michoacán, molto segnato dalla migrazione stagionale dei propri uomini, che ha vissuto per un lungo periodo ostaggio di narcotrafficanti e ladri di legname collusi con le autorità. Quando è venuto il tempo, la comunità ha deciso di organizzarsi e di controllare ed impedire ai ladri l’accesso al paese. Di notte sono stati accesi falò in tutti i quartieri; attorno a essi gli abitanti hanno resistito al freddo e alla paura e sono rimasti svegli parlando tra loro. La radio comunitaria Radio fogata, radio falò, continuava a ricordare alla comunità perché si era sollevata contro chi la stava opprimendo ed incitava a resistere. La chiacchera attorno ai falò si è andata gradualmente trasformando: non si è più parlato solo di controllo degli accessi, ma si è costruito un nuovo modo di stare assieme. Adesso Cherán elegge i propri rappresentanti secondousos y costrumbres, come vuole la tradizione, e non permette che alle elezioni si presentino partiti politici che difendono interessi esterni. Attorno ai falò il paese di Cherán ha costruito un nuovo modo di raccontare la propria storia. In Friuli, dove sono cresciuta, non si fanno falò in onore a sant’Antonio, ma la notte del 6 gennaio vengono accesi i falò chiamati “Pignarul”, da cui si traggono previsioni per l’anno che inizia, e altri falò vengono accesi in onore di san Giovanni la notte del 23 giugno. Certo, come dice Lei, i falò, il riunirsi attorno ad un fuoco, sono sempre occasione di incontro, di condivisione, di chiacchera, insomma di festa.

Quali simbologie si celano nelle danze rituali delle comunità indigene?
Le persone danzano la vita, celebrano la battaglia rituale del sole che lotta quotidianamente per sorgere, mimano la sfida tra il bene e il male, alludono al sole e alla fertilità della terra, invocano i venti e danzano, seminano futuro.

Cos'è la platica?
In Messico la platica, la chiacchiera, è un modo di vivere, oltre che un passatempo. Mi ha sempre fatto sorridere, ad esempio, il ricordo che nei taxi colectivos, dove sale e scende gente a tutti gli incroci, gli occupanti rimasti parlino di quello che è appena sceso, anche se nessuno lo conosce. In generale, in Messico si chiacchera molto, si platica, ci si avvicina.
Pranzo comunitario davanti alla croce posta sulla sommità della collina nel giorno della Santa Croce, Chiapas
Che tipo di religione avevano le popolazioni messicane prima dell'arrivo degli Spagnoli? In che modo la dominazione cattolica si è appropriata della cultura indigena e com'è concepito dai popoli messicani il rapporto con il divino? Che tipo di rapporto esiste tra la comunità e i propri santi protettori? Inoltre, è possibile ravvisare un legame tra questi ultimi e le divinità precolombiane?
Il discorso della dominazione e della conquista è pagina dolorosa e complessa, ha riempito (e riempirà) moltissime pagine scritte. Dico solo che a guardare alcuni tratti della religione attuale, possiamo dire che agli indigeni messicani non parvero poi così strane quelle figure e quelle divinità portate dagli spagnoli: la madre di tutti gli dèi, la luna, era una divinità preziosa per molti dei popoli mesoamericani. Quella vergine cattolica raffigurata con ai piedi un quarto di luna, come descritta nell’Apocalisse, ricordava, alle comunità tarasche del Michoacán, la dea Cuerauáperi, divinità della luna, dedicata alla germinazione del mais e alla protezione delle partorienti. Il simbolo della croce era già stato interiorizzato dalle civiltà che abitavano quelle terre prima degli spagnoli. La croce sintetizzava la complessa visione dell’universo indigeno mexica, disegnato come un asse cosmico verticale che sostiene diversi piani orizzontali. Lungo l’asse verticale dello spazio vi era il passaggio, da una regione cosmica all’altra, dal cielo alla terra, dalla terra all’inframundo. Nelle popolazioni tseltal del Chiapas l’incontro delle due religioni oggi non appare come un sincretismo poco coerente di elementi che si sono incollati nel tempo uno sull’altro, bensì una sintesi intonata e coerente delle due religioni, in cui la cosmogonia preispanica si mantiene viva tra le pieghe di un dinamico dialogo con l’universo cristiano. L’innesto della religione tradizionale con gli elementi cattolici traspare nella devozione associata al paesaggio sacro, alle montagne, alle sorgenti e alle grotte, considerate accessi all’inframundo. Traspare nella relazione delle comunità con i santi: perché i santi possano compiere la loro funzione di protettori, è necessario, infatti, che siano vivi e che non stiano solamente nel cielo, da cui non riuscirebbero a vedere e ad ascoltare i loro protetti. Essi sono gli intermediari di un Dio che si trova troppo lontano per poter essere concretamente d’aiuto. I santi sono parte della comunità e vengono quindi vestiti con gli stessi abiti tradizionali che usano tutti. Così come ogni comunità veste in maniera distinta, così i santi vestono l’abito del loro pueblo, che indica chiaramente la loro appartenenza. Le sante, nella loro parte terrena, sono in tutto simili alle donne: vestono un huipil, l'abito tradizionale, indossano collane e orecchini.

Nel libro si sofferma spesso sull'eleganza degli abiti delle donne, tutti riccamente ricamati. Quale significato racchiudono questi indumenti così raffinati?
Ogni popolazione indigena possiede i suoi abiti peculiari, i cui significati dipendono dalle proprie credenze, dal luogo in cui si abita, dalle proprie conoscenze tecniche. Nel libro mi soffermo a parlare degli abiti delle donne del Chiapas, tessuti attraverso la tecnica del telaio di cintura. La tessitura maya è un atto d’amore che rappresenta la creazione e la ricreazione del mondo. L’albero che sostiene il lavoro della tessitura riproduce l’asse del cosmo, l’atto di tendere l’ordito marca l’inizio del tempo. Stendendo i fili e iniziando a tessere, la tessitrice inizia a far scorrere la vita. Mi piace pensare e raccontare quanta vita racchiudono quegli abiti.

Cosa l'ha colpita maggiormente delle donne indigene e del loro stile di vita?
Che domanda difficile! Per risponderle, mi viene in mente il discorso pronunciato dalla “comandanta” Esther dell’EZLN, l’esercito ribelle zapatista. Nel 2001 Esther, contadina indigena del Chiapas, fu invitata a tenere un discorso ai deputati del Congresso di Città del Messico e parlò loro delle condizioni di povertà ed emarginazione sociale nel quale vivevano i popoli indigeni. Iniziò il suo discorso dicendo: “Il mio nome è Esther, però questo adesso non è importante. Sono zapatista, però questo nemmeno importa adesso. Sono indigena e sono donna, e solo questo è ciò che importa adesso".
Questa naturale responsabilità mi ha colpito, delle Esther del Messico.

Che ricordo ha di quello che Lei definisce Messico magico e simbolico e della sua gente? Cosa Le hanno lasciato persone come doña Florencia, doña Isabel e don Pedro? Cosa Le è rimasto delle tante conversazioni avute con loro?
Nella mia vita accademica ho completato un dottorato in ecologia e lavorato per la conservazione del patrimonio bio-culturale. La maestra Flor (doña Florencia) mi ha insegnato a plasmare l’argilla e a capire la terra con le mani, la abuela Chabe (doña Isabel) mi ha insegnato a tessere e a benedire il cotone prima di seminarlo, don Pedro mi ha insegnato a leggere e a sentire nei rilievi ritrovati nel sito archeologico la voce degli antenati. Di quegli incontri mi è rimasta la consapevolezza di non avere grandi abilità manuali e la sensazione che mi abbiano parlato di ecologia e di patrimonio come nessuno prima aveva fatto.

Quale messaggio si augura possa arrivare a tutti coloro che avranno il piacere di leggere il Suo libro?
Mi piacerebbe che chi si trovasse a viaggiare in Messico dalla poltrona di casa o dal treno quotidiano trovasse nelle mie parole echi che risuonano con le proprie esperienze e le proprie corde. Mi piacerebbe guidare lo sguardo di chi si trovasse a viaggiare in Messico, dopo undici ore di aereo, verso ciò che si vede e ciò che non si vede. Questa guida di viaggio, infatti, parla di ciò che nella festa si vede e di ciò che rimane in filigrana: gli abiti delle donne e i significati che racchiudono, le danze rituali degli uomini e i simboli in esse contenuti, le vesti dei santi e il mondo invisibile che raccontano. Infine, invita al pranzo rituale e celebra il mais, nutrimento fisico e spirituale del México profundo.
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