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Ungheria 1956: saggio di Giuseppe Averardi

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venerdì, 09 novembre 2018 08:06

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Fabrizio Federici
Alla Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma, in Via Caetani, è stato presentato il saggio di Giuseppe Averardi, senatore emerito, giornalista e autore di vari libri su temi di storia contemporanea, Ungheria 1956 - Le verità nascoste (Bologna, Minerva ed., 2018, €. 18,00). Un libro che ricostruisce la tragica Rivoluzione ungherese del '56: focalizzando poi le sue conseguenze per la sinistra europea e specialmente italiana, in termini anche di traumi psicologici ed esistenziali, e abbandoni della rotta che per decenni s'era ritenuta l'unica possibile e giusta (nel 1956- '57, ricordava nel '76 Giorgio Amendola nel suo libro Gli anni della Repubblica, il PCI perse addirittura mezzo milione di iscritti!).
L'Autore ha ricordato i drammatici momenti di allora, sollevando il problema di come si possa raccontare a un giovane d' oggi lo spirito di quel tempo, in cui l’Italia e l’Europa uscivano da una guerra devastante, e le ideologie (insieme alla miseria) la facevano da padrone in larghi strati sociali. A quell'epoca, Averardi era un giovane dirigente del PCI: sconcertato dal completo allineamento del Partito, guidato da Palmiro Togliatti, alle posizioni di Mosca (a dicembre del '56, il PCI si sarebbe dichiarato sostanzialmente a favore della repressione sovietica in Ungheria). Lui, allora responsabile de Il Contemporaneo, supplemento culturale di Rinascita, l'altro giornalista Michele Pellicani (direttore di "Vie Nuove" e padre di Luciano) , Eugenio Reale - all'epoca responsabile amministrativo del PCI - e Tomaso Smith , fondatore e direttore di "Paese Sera", lasciarono il partito togliattiano per approdare alle sponde socialiste e socialdemocratiche.
Ne nacquero, nel '57, il periodico Corrispondenza socialista, e, poco dopo, il quotidiano La Giustizia (ripresa della storica testata fondata ai primi del '900 da Camillo Prampolini). Che, animati dai quattro e da pochi altri coraggiosi, in anni in cui lo stesso "Avanti!" era ancora indietro nella difesa del socialismo riformista (proprio del '56, ricordiamo, anche prima dei fatti d'Ungheria, è lo storico incontro di Pralognan tra Nenni e Saragat, segnante l'inizio del riavvicinamento PSI-PSDI), con firme di prestigio, o destinate a diventarlo (da Howard Fast a Milovan Gilas, da Franco Ferrarotti ad Antonio Ghirelli e Antonio Spinosa), iniziarono a discutere momenti e temi fondamentali della storia della sinistra in chiave autenticamente socialista democratica.
Da sinistra: Roberto Cipriani, Giuseppe Averardi, Fabrizio Federici e Luciano Pellicani
Roberto Cipriani, sociologo della religione, docente emerito dell'Università Roma 3, ha ripercorso le drammatiche vicende del '56 in Ungheria e nel resto del mondo (fu l'anno anche dei moti antistalinisti pure in Polonia, e dell'attacco anglo-francese all'Egitto di Nasser per la questione di Suez). Ricordando anche le possibili responsabilità di Palmiro Togliatti nella morte (1957) del comunista eretico Giuseppe Di Vittorio: che proprio nel '56, cardiopatico, andò a curarsi in URSS (Togliatti, però, non gli consegnò mai la cartella coi risultati dei suoi test clinici, avuta di nascosto da Stalin: il sindacalista pugliese continuò allora a lavorare senza mai risparmiarsi, sino all'improvvisa morte nell'autunno del '57).
Luciano Pellicani, docente di Sociologia politica della LUISS, direttore emerito di Mondoperaio, ha focalizzato le analogie di fondo tra comunismo leninista, nazismo e altre ideologie totalitarie (come, oggi, l'integralismo islamico): sintetizzabili nel rifiuto totale della società borghese e del liberalismo valorizzante l'individuo, in nome d'un collettivismo totale e totalizzante, padrone assoluto non solo dell'economia, ma anche della cultura e persino delle coscienze e dello spirito degli individui. "Per questo, appunto nell'Ungheria del '56, vasti strati della popolazione insorsero contro il comunismo staliniano: ma fu, non dimentichiamolo, una rivolta anzitutto di sinistra, con in prima fila proprio tanti giovani comunisti profondamente delusi dai burocrati filosovietici".
Luigi Fenizi, consigliere parlamentare al Senato, già collaboratore di "Mondoperaio", ha ricordato il posto che spetta di diritto a tutti quegli intellettuali che allora, uscendo dal PCI, furono considerati dei traditori: e invece rientrano a pieno titolo tra i difensori dell'Occidente e della sua cultura laica e libertaria, da Turati a Silone, da Salvemini a Carlo Rosselli, da Albert Camus a Gustaw Herling e Milovan Gilas. Antonio Parisi, giornalista direttore di Consulpress e autore di saggi di storia contemporanea, si è soffermato sull'Ungheria di oggi, dove tuttora è vivissimo il dolore per la repressione sovietica del '56 e per gli altri trent'anni di "Collelttivismo burocratico" che seguirono, sino al grande crollo dei muri del 1989.
Aladino Lombardi, già presidente dell'ANFIM, ha ricordato il viaggio che, proprio nell'autunno del '56, fecero a Budapest Matteo Matteotti (figlio di Giacomo), Indro Montanelli e il padre, Angelo Lombardi: viaggio che, permettendogli di assistere da vicino alla tragedia ungherese, segnò in modo indelebile la loro coscienza di cittadini e operatori dell'informazione e della cultura.
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