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Fabrizio Federici
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Una favola postmoderna. E al tempo stesso,una moderna rivisitazione della storia di Romeo e Giulietta. Queste, le principali caratteristiche di “Confessioni di uno zero”, singolare romanzo di Giovanni Di Iacovo (Roma, Castelvecchi, 2017, €. 16,50): giovane scrittore autore di saggi e romanzi, già tra i vincitori della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo ( Serajevo, 2001), attualmente ricercatore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’ Università “Gabriele D’ Annunzio di Chieti-Pescara, e assessore alla cultura e Pubblica istruzione del Comune di Pescara.
“Confessioni” è un romanzo a dir poco singolare, che ruota intorno alla sfortunata storia d’amore di Vienna e Sebastiano (“nomen omen”… come non pensare al soldato romano, martire cristiano, eroe, tra l’altro, del bel film di Derek Jarman del ’76? Ma anche, parlando di rapporti affettivi, alla “coppia” “Belle et Sebastien” , dei telefilm francesi anni ’60 e del film di Nicolas Vanier del 2013). Ambientato tra gli anni ’90 e i nostri giorni, tra la Pescara di oggi (importante fucina di cultura multimediale e al tempo stesso, diremmo col suo figlio Ennio Flaiano, città cosmopolita e inguaribilmente provinciale) e quella Londra che non è più la “swinging London” anni 60-’70, ma è sempre – pur insidiata da Berlino – tra le capitali della cultura giovanile , “Confessioni” mescola abilmente ricordi dei grandi romanzi del ‘900 e fumetti d’autore, musica rock e pop, cinema, arte postmoderna e ricordi personali.
Narrando una storia d’amore – quella, appunto, di Vienna e Sebastiano – dagli anni ’90, dai primi esordi della cultura giovanile postpunk, ad oggi, alla piena, libertaria esplosione dell’universo, da un lato, punk-gothic- leather; e, dall’altro, gay-lesbian-transgender- BDSM. Fra le montagne d’ Abruzzo e il “Torture Garden” di Londra (mitico tempio della cultura BDSM), fra le spiagge di Pescara e le nebbie del nord Europa, fra Tarantino e Almodovar, Di Iacovo narra una storia che si dipana, per trent’anni, sino alla sua tragica conclusione. Con uno stile personalissimo, nervoso quanto fantasmagorico e cinematografico, punteggiato, di neologismi e costruzioni particolari che quasi ricordano Marinetti e Joyce.
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