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LA VEDOVA ALLEGRA al Teatro Brancaccio di Roma

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venerdì, 07 aprile 2017 16:20

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Alessandra D'Annibale
Interpretato da Umberto Scida (Njegus), con la regia dello stesso Umberto Scida, La Vedova Allegra si conferma come una delle operette più famose e rappresentate dell’intero repertorio operettistico. La Compagnia di Operetta del Teatro Al Massimo di Palermo, con bravissimi artisti, tra cantanti, attori e ballerini, che con grande passione e sconfinato talento hanno portato, sul palco del Teatro Brancaccio, un genere spesso e ingiustamente considerato inferiore,derivato direttamente dai lombi dell’opéra-comique ed imparentato con il vaudeville, l’Operetta per lungo tempo è stata retrocessa in serie B dalla critica di tutti i tempi.
La storia, nota a molti, racconta della bella Signora Hanna Glawary, rimasta vedova del ricchissimo banchiere di corte. Il Re in persona incarica l’ambasciatore, il Barone Zeta, di trovare un marito pontevedrino alla vedova per conservare i milioni di dote della signora, in patria. Infatti se la signora Glawary passasse a seconde nozze con un francese, il suo capitale lascerebbe la Banca Nazionale Pontevedrina e per il Pontevedro sarebbe la rovina. Njegus, cancelliere dell’ambasciata, tenta di convincere il conte Danilo a sposare Hanna, con la quale c’era già stata una storia d’amore finita male a causa della famiglia di Danilo. Da parte sua la vedova, pur amando Danilo, non lo vuole dimostrare e fa di tutto per farlo ingelosire. Frattanto si snoda un’altra storia d’amore che vede protagonisti Valencienne, giovane moglie di Zeta, e Camillo de Rossillon, un diplomatico francese che la corteggia con assiduità. Tra equivoci e imbarazzi il lieto fine è assicurato.
Non si può non riconoscere che alcune operette, tra cui La Vedova Allegra, siano degli autentici capolavori musicali e degni del rango dell’opera lirica. In particolare questa è considerata tra le operette più popolare ed in sé racchiude vivacità, eleganza, situazioni comiche e romantiche, balli d’epoca, insomma Lehàr, il compositore, ha creato per quell’epoca un vero successo studiato a tavolino. Ma questo non vuole definire l’opera un lavoro di poco impegno, tutt’altro, ciò valorizza non solo l’intelletto dell’artista Lehàr, ma anche la sua sensibilità nel cogliere gli elementi salienti che potevano far si che l’opera diventasse un grande successo. Insomma Lehàr sapeva esattamente cosa avrebbe fatto presa sul pubblico e in questa operetta ha scoccato tutte le frecce del suo arco. Dalle danze ungheresi alle marce brillanti.
Così come Lehàr anche Umberto Scida è riuscito a fare centro sul pubblico utilizzando tutta la sua ironia e maestria da vero “animale da palcoscenico”, portandosi a casa diversi applausi a scena aperta, e grande ovazione da parte del pubblico in sala già dalla prima de La Vedova Allegra. La sua recitazione è stata davvero esilarante, audace, trainante, mai volgare o banale, supportata da un cast di artisti lirici davvero di altissimo livello.
L’operetta di Scida emana qualcosa di magico e superbo insieme, e la sua maschera, la vis comica di questo grande attore dei giorni d’oggi, ricorda vagamente, in alcuni momenti dello spettacolo, la maschera dei grandi attori e “capocomici” della Commedia dell’Arte: da Pulcinella a Ettore Petrolini, passando per Scarpetta e Totò fino ad arrivare al grande Gigi Proietti.
Umberto Scida, è il classico regista, attore, che non si risparmia sul palco, e in questo spettacolo, se pur difficile nel suo genere, perché gli equilibri tra recitato e cantato vanno rispettati, ha dato fondo alla propria creatività, umorismo ed inventiva, creando ed improvvisando anche, situazioni divertenti, come la lettura della missiva del Re, o il nascondere i vari tradimenti delle consorti, coinvolgendo il pubblico in sala in canti un po’ “stonati”, riuscendo a porsi sempre in un raffinatissimo divertissement.
Naturalmente questa eleganza è data anche dalla musica, la vera protagonista dello spettacolo: come non poter intonare il meraviglioso settimino E scabroso le donne studiar”…o il celeberrimo”ace il labbro tace”
Ma un plauso va anche alle figure principali degli artisti, alle splendide coreografie di Stefania Cotroneo, che per non trasformare un bel Can can in uno squallido ballo da bettola parigina, ci vuole gusto, esperienza e conoscenza storica, e la coreografa ha saputo porgere agli spettatori divertenti balletti con destrezza e gusto musicale. E infine un elogio anche ai meravigliosi e sempre diversi costumi, che ci hanno fatto passare in rassegna la moda dei primi del ‘900, creando dentro di noi anche un leggero senso di invidia, nell'indossare quelle deliziose gonne a campana, cappelli con piume, ventagli colorati, che dopo secoli di cambiamenti e rivoluzioni, la femminilità che ne scaturisce si auspica venga rinnovata nel terzo millennio.
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