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Herbarie: le chiamavano Streghe

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venerdì, 24 marzo 2017 21:01

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Foto di Attilio Correnti
Francesca Bianchi
Domenica 26 marzo, presso la Casa Internazionale delle Donne, sita in Via Della Lungara, 19, a Roma, andrà in scena lo spettacolo Herbarie: le chiamavano Streghe del progetto Anemofilia Teatro.
Lo spettacolo, che inizierà alle ore 18, è frutto di un lavoro di ricerca storica ed antropologica che Silvia Pietrovanni, autrice dei testi, porta avanti sulla figura della domina herbarum, l’erborista del popolo.
Sulla scena Mercuria, la nonna, che ha tramandato alla figlia Caterina la sua sapienza, e Lucia, giovane apprendista herbaria. Tre farmaciste e medichesse che coltivavano le erbe medicinali e si scambiano i segreti del loro uso, costituendo punti di riferimento fondamentali per il popolo. A spezzare il loro legame una figura maschile che da medico moderno si trasforma in inquisitore, un inquisitore che è proiezione del nostro tempo.
FtNews ha incontro Silvia Pietrovanni, che ci ha parlato dei temi che questo spettacolo affronta e delle fonti da cui trae ispirazione. La studiosa si è soffermata sulla figura della Domina Herbarum e sulla vocazione alla cura insita in ogni donna. Nel corso della nostra conversazione, la Pietrovanni ha ribadito più volte che questo lavoro ha come obiettivo la rivalutazione delle medicine alternative e il tentativo di far luce sulla medicina delle donne, per anni nascosta dai libri di storia e demonizzata dalla cultura patriarcale.

Come e quando è nato lo spettacolo Herbarie?
Herbarie è nato tra le erbe, con le erbe: ho capito che quella che consideravo una “passione” era, in verità, una “vocazione”. Mi sono avvicinata all'erboristeria nel 2008 e, visto che l'aspetto farmaco-dinamico vedeva la pianta solo come contenitore di principi attivi, ho deciso di dar loro voce, prima studiando, poi scrivendo testi drammaturgici. Fanno parte di questo percorso di ricerca sulla dimensione analogica e simbolica delle piante non solo Herbarie, ma anche i monologhi ispirati alla mitologia delle piante officinali, che spero verranno messi presto in scena. La drammaturgia di Herbarie due anni fa è stata trasformata in un racconto dal titolo Herbarie: colpevoli di meraviglia, che ha vinto la terza edizione del premio "Streghe di Montecchio" ed è stato pubblicato dall'editore Fefè nel terzo volume della collana "Streghe d'Italia".
La nuova messa in scena ha debuttato nell'ottobre del 2015 con la partecipazione degli attori Valentina Conti, Rossella Barrucci, Manuela Tufariello e Giambasttista Martino. Lo spettacolo è reso prezioso dalle musiche dal vivo del Quinto Quarto Trio, (Ernesto Ranfi, Luisa Pellegrini, Stefania Militello), musiche originali di Daniele Fusacchia.
Foto di Attilio Correnti
Qual è il tema principale che questo spettacolo mette in scena?
Lo spettacolo svela il rapporto stretto che si è creato tra il potere medico e il potere ecclesiastico, che hanno monopolizzato il corpo e lo spirito, dichiarandosi detentori di una verità universale (l'etimologia del termine 'cattolico' rimanda al concetto di 'universale'). La storia intervalla le disquisizioni del medico di oggi all'iniziazione di Lucia, la nipote adolescente, che viene inoltrata alla conoscenza delle piante più difficili da usare, piante che sanno curare, ma anche far morire. Nello spettacolo tre donne si scambiano ricette erboristiche, ricette di cosmesi, le osserviamo mentre vengono chiamate ad aiutare a partorire, ma anche ad abortire, alleate nel dare la vita, ma anche nel dare la dolce morte. Le vediamo immerse nei loro riti quotidiani che prevedono l'invocazione di santi, le preghiere, il ringraziamento della pianta prima della raccolta, l'uso di piante psicoattive, delle quali conoscono bene gli effetti sciamanici.
La regia mostra l'iniziazione di Lucia attraverso il gioco: la campana, il girotondo, l'altalena nascondono significati profondi, connessi al ciclo vegetativo naturale di morte e rinascita.
Con il crescendo di emozioni e tensione il medico moderno diventa figura indistinta e, infine, inquisitore papale, cambiando veste e, sopratutto, linguaggio. Diviene una forza centripeta che inghiotte le eversive portatrici di un messaggio alternativo.

Chi erano le Dominae Herbarum?
L'herbaria è l'erborista del popolo, una professione che è antica quanto l'umanità. Con la nascita delle Università, l'herbaria diventò una figura “eversiva”, non solo perché i suoi metodi di cura non coincidevano con i dettami della medicina ufficiale, ma anche perché il suo sapere era frutto dell'unione tra donne (che si scambiavano ricette e formule), un legame che dava fastidio ai poteri di allora.
Quando il physicus (il medico di un tempo), non riusciva a curare, allora si ricorreva all'herbaria, che con i suoi rimedi spesso riusciva nell'intento. Questo infastidiva molto.
L'herbaria non solo raccoglieva, estraeva, utilizzava, sperimentava le piante, ma aveva con la natura un rapporto vivo, fatto di preghiera e dedizione: era la "curandera" per eccellenza, alla quale rivolgersi per ogni affezione o anche semplicemente per chiedere ascolto e comprensione.

Foto di Attilio Correnti, musiche dal vivo del Quinto Quarto Trio,composte da Daniele Fusacchia
A quali fonti si è ispirata per la realizzazione di questa opera?
Oltre ai riferimenti ad alcuni processi italiani, in particolare quelli contro Matteuccia da Todi, Franchetta Borrelli, Bellezza Orsini, Lucia Bertozzi, Julia Carta, Pincinella, quattro letture mi hanno particolarmente colpita: 1) il libro Medichesse di Erika Maderna, l'unico che ripercorre la storia della cura declinata al femminile; 2) il libro Donne senza Rinascimento di Enrica Chiaramonte, Giovanna Frezza e Silvia Tozzi, che indaga il periodo storico più cruento della caccia alle streghe, quando si instaurò il legame Medicina-Stato-Chiesa a discapito delle guaritrici del popolo; 3) il libroIl noce di Benevento di Paolo Portone: il fenomeno beneventano è interessante e diverso rispetto alla caccia alle streghe che si è dipanata nelle altre parti d'Italia e d'Europa ed è strettamente legato al culto arboreo degli antichi Longobardi; 4) l'introduzione del libro Intelligenza in natura dell'antropologo Jeremy Narby, dove si parla di un'anziana erborista estone, Laine Roth, morta pochi anni fa, che sentiva nel suo corpo la malattia del paziente e a qualsiasi ora del giorno o della notte veniva chiamata dalla pianta che avrebbe costituito il rimedio per quel male, per raccoglierla. Anche un film è stato essenziale nella scrittura del testo: Gostanza da Libbiano, interpretato da Lucia Poli e diretto da Paolo Benvenuti. Alcuni dei rimedi citati in Herbarie vengono anche da lì, oltre che da ricettari antichi.

Perché, secondo Lei, le donne hanno una naturale vocazione alla cura?
Il senso del prenderci cura è parte dell'istinto materno, che non è strettamente legato alla maternità. Secondo alcune interpretazioni antropologiche, il linguaggio stesso nasce dalla donna, dal suo bisogno di condivisione di esperienze, così come anche la raccolta delle piante spontanee.

Quale finalità si propone questo lavoro?
Lo scopo di tutti i miei testi è quello di fornire domande più che risposte, donare punti interrogativi che vadano a pescare emozioni difficili da spiegare a parole. È per questo che abbiamo chiamato la compagnia Anemofilia, termine con cui si indica l'impollinazione tramite il vento: ci piace pensare che i pollini-idee, viaggiando lontano, possano trovare nuovi terreni e dare origine a una nuova vita, a nuovi punti di vista sulla realtà.
Questo spettacolo è anche una presa di posizione, una difesa delle medicine definite alternative: l'inquisitore in Herbarie è un medico di oggi che denigra le medicine olistiche, trasformandosi, solo alla fine dello spettacolo, in emissario del potere papale. Ammetto di aver incontrato medici di questo tipo, soprattutto donne, e non è un caso, forse, che il pubblico tenda a credere alle parole del medico, perché parla di argomenti cronologicamente loro vicini, e perché in ognuno di noi si cela un inquisitore, figlio della cultura patriarcale, che portiamo dentro di noi. Riconoscere questo aspetto è essenziale. Un giorno una spettatrice mi ha detto: “Mi sono accorta di avere entrambi i punti di vista, quello del medico e quello delle herbarie; li ho visti drammatizzarsi sulla scena e dentro di me e questo dibattito interno mi ha aperto parentesi che devo approfondire e capire”.
La caccia alle streghe curatrici oggi assume in parte queste connotazioni, anche se, fortunatamente, la medicina moderna sta avendo delle graduali aperture verso altre forme di terapia e, soprattutto, verso una visione del paziente come essere umano nella sua globalità.
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26/03/2017 10:29:03
da: ernestora@libero.it a: info@ftnews.it
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Nome: Ernesto Ranfi
Messaggio: Molto ben fatto l'articolo , la replica odierna per tutto il gruppo è molto importante, una data segnata da mesi che pensavamo di dover annullare per la recentissima scomparsa del nostro grande organettista e compositore delle musiche dello spettacolo, Daniele Fusacchia, è stato invece un moto di reazione che non ci ha fatto piegare alla fatalità inevitabile! Grazie alla volontà di Luisa Pellegrini e alla forza di Stefania Militello!
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