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sabato, 14 gennaio 2017 22:52 |
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Cristoforo Colombo arriva in America (1893) - Autore L. Prang & Co., Boston
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Rosario Pesce
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È evidente che il connubio fra politica e finanza sia molto forte, nel nostro Paese come in tutti quelli ad economia capitalistica.
È, anche, vero che, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino, questo rapporto ha subito un’importante rimodulazione, visto che sono cambiati i rapporti di forza fra i due attori.
La politica, nel corso del secolo scorso, aveva imposto molti paletti alla finanza, per cui, per effetto dell’ideologia socialdemocratica, il sistema economico-sociale veniva ad essere il frutto di una mediazione fra gli interessi dei più deboli e quelli dei grandi investitori.
Oggi, invece, pare essere saltata questa mediazione, per cui la finanza impone i suoi diktat alle istituzioni rappresentative, per effetto di una delegittimazione molto ampia, che il ceto degli eletti ha subito a seguito di inchieste giudiziarie di vario tipo.
La finanza, quindi, comanda e la politica obbedisce?
Pare, proprio, questo il leit motiv degli ultimi anni.
La stessa riforma costituzionale, che Renzi intendeva far passare, era stata compulsata dalla finanza e dai poteri economici, allo scopo di rendere più “snello” il percorso di creazione di una legge.
È ovvio che un’analisi siffatta, condivisa da ambienti culturali di diversa estrazione, non può che essere impietosa, dal momento che, se essa fosse tragicamente vera fino in fondo, farebbe intendere un grave vulnus per la nostra democrazia, esposta ai venti della speculazione e delle dinamiche economiche oltre ogni ragionevole limite.
Cosa fare, dunque, per riportare il tutto nei limiti corretti del gioco democratico?
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Invero, riportare il consenso popolare al vertice del processo decisionale, in primis.
È ineluttabile che la democrazia parlamentare ha subito un progressivo logoramento nel corso della seconda metà del Novecento, per cui è giusto che gli elettori tornino ad essere protagonisti delle decisioni politiche in modo autorevole.
D’altronde, lo stesso referendum dello scorso 4 dicembre è stato un grande momento di democrazia diretta, che ha visto una partecipazione così ampia, che non era prevista da alcun commentatore o analista.
Pertanto, è giusto che il popolo possa avere di nuovo voce in capitolo, soprattutto quando sono in gioco decisioni di importanza rilevante, da cui dipendono le sorti di uno Stato e di un’intera nazione.
Ma, è altrettanto auspicabile che la politica possa, di nuovo, far sentire alta la sua voce, perché, se continuerà il suo gap di legittimazione, sarà ineluttabile che, in qualsiasi sistema democratico, i politici saranno deboli e, dunque, costretti a piegarsi alle volontà di poteri extra-democratici.
In Italia, ancora di più, è necessario che ci sia uno scatto di dignità da parte dei nostri politici, perché l’assenza di partiti, destinatari di un consenso autentico, non potrà che, a lungo, determinare una vera implosione delle nostre istituzioni, che si reggono sull’azione di organizzazioni partitiche, che dovrebbero gestire ed organizzare il consenso in modo corretto e trasparente.
Accadrà mai questo o è solo una pia aspirazione?
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