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giovedì, 15 gennaio 2015 22:10 |
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Rosario Pesce
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Nel baillame di improbabili nomi, che si fanno per la carica di Presidente della Repubblica, ci piace avanzare quello di una personalità, che molto probabilmente non diventerà mai Capo di Stato, pur avendone i requisiti, sia sul piano culturale, che su quello politico: Massimo Cacciari.
Infatti, il filosofo veneziano è, ormai, da qualche anno fuori dalla scena della politica attiva, per cui egli si limita a partecipare a qualche trasmissione televisiva - di tanto in tanto - nella veste di commentatore, essendo tornato all’attività accademica a tempo pieno.
Nonostante il suo esilio forzato dalle istituzioni rappresentative, dovuto alla sconfitta, che riportò nella competizione regionale, quando ebbe l’ardire di sfidare l’allora potentissimo Galan, il nome di Cacciari, pur non essendo stato preso seriamente in esame da nessun partito, sarebbe adeguato all’alto ufficio presidenziale.
Colto, intelligente, politicamente acuto, esperto della scienza dell’amministrazione, avendo fatto per anni il sindaco della città lagunare, onestissimo, dotato della giusta autonomia rispetto a qualsiasi “parrocchia” partitica, sarebbe invero il candidato ideale per la Presidenza della Repubblica, sebbene tutte queste qualità estremamente positive, che lo contrassegnano, possano apparire, agli occhi della casta, come un fattore di “deminutio”.
Purtroppo, il nome, che così arditamente abbiamo avanzato, non sarà mai preso in considerazione dai partiti, che stanno esplorando la possibilità d individuare il successore di Napolitano fra quanti - pur essendo autorevoli nella medesima misura del filosofo veneziano - risultano però più affidabili per coloro che, stando dietro alle quinte, manovrano i parlamentari che, a partire dal 29 gennaio, dovranno eleggere il futuro inquilino del Quirinale.
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Nessuno, invero, può dimenticare l’atteggiamento improntato all’indipendenza, che Cacciari ha sempre tenuto, finanche quando, sia negli Enti Locali, sia nella sua formazione partitica, ha ricoperto ruoli importanti di guida politica.
Si scontrò duramente con D’Alema, quando questi era Presidente del Consiglio, dichiarando pubblicamente che il suo Governo stava manifestamente sbagliando nell’affrontare la questione veneta ed il conclamato disagio delle popolazioni del Nord-Est nel riconoscersi nella comune patria italiana.
Altresì, non più tardi di poche settimane or sono, pur essendo stato un sostenitore della sua candidatura, ai tempi delle primarie, egli ha giustamente criticato l’operato del Dicastero Renzi, dimostrando – con rigorose argomentazioni – la sostanziale sterilità delle sue politiche nell’opera difficile di soluzione della crisi economico-finanziaria, che sta vivendo l’Europa e l’Italia, in particolare. Questo suo modo di fare, non imprigionabile in alcuno schema pre-confezionato, ineluttabilmente lo rende improponibile per il Quirinale, dato che chi andrà ad occupare lo scranno più alto della Repubblica dovrà, comunque, essere sensibile alle sollecitazioni provenienti dai vertici dei partiti e dell’alta finanza italiana, per cui uno spirito libero, che non ama né i compromessi, né la mera ipocrisia di facciata, è a-priori escluso dalla gara per assumere l’onere della più rilevante magistratura della nostra democrazia parlamentare.
Se fossimo vissuti, invece, in un moderno sistema di democrazia presidenziale, molto probabilmente il suo nome sarebbe stato ancora spendibile, dal momento che egli è tanto popolare presso la pubblica opinione, quanto appare inviso ai capibastone, che decideranno le prossime elezioni quirinalizie.
Forse, è venuto – per davvero – il momento di mettere mano alla grande riforma dello Stato, così come ha auspicato - per anni - Bettino Craxi?
Forse, è giunta l’ora che i mille grandi elettori, che indicheranno il nome del successore di Napolitano, ascoltino finalmente la voce dei cittadini, non snobbando pregiudizialmente le indicazioni, che avranno risonanza mediatica attraverso i social-networks?
Certo, se Cacciari fosse il prossimo Presidente della Repubblica, il ricambio della classe politica avverrebbe non solo guardando la carta d’identità – come qualcuno, pure, ha tentato di fare nel corso degli ultimi dodici mesi – ma, soprattutto, volgendo lo sguardo alle competenze ed alle capacità degli attori istituzionali.
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