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L'ultimo istrione

sabato, 15 ottobre 2016 22:17

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dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Dario_Fo
Rosario Pesce
La morte di un giullare è un evento unico, che dovrebbe determinare non il pianto, ma il sorriso di quanti lo hanno conosciuto ed amato in vita.
Infatti, nella natura di un uomo da spettacolo, esiste una virtù unica, il riso amaro, che dovrebbe sprigionarsi in momenti simili, nei quali troppe persone, che in passato hanno avversato Dario Fo per le sue idee, invece corrono al capezzale, ricordandosi che egli ha dato lustro alla cultura italiana, alla stessa maniera di un altro autore teatrale, che ebbe analoghe onorificenze, come Luigi Pirandello.
È tipico degli Italiani, infatti, musealizzare i propri valori, per cui il povero Fo rischia, dopo la sua morte, di entrare in quel museo delle cere, dove mai avrebbe voluto entrare.
Peraltro, le sue posizioni politiche, sempre in dissenso rispetto all’intellighenzia ufficiale, lo hanno portato, per decenni, ad un isolamento, da cui è uscito solamente dopo aver vinto il Nobel per la letteratura, a dimostrazione del fatto che gli Italiani necessitano, troppo spesso, dei suggerimenti e delle indicazioni, che vengono dall’estero, per meglio apprezzare ciò che hanno in casa.
Eppure, Fo e la moglie, Franca Rame, sono stati lì, hanno combattuto sempre dalla medesima parte della barricata, riuscendo a mettere in scena un teatro, che al tempo stesso era civile, popolare, intriso di una profonda cultura, che non era semplicemente il frutto migliore di un’area regionale, ma era l’espressione più forte di un genius, di una spiritualità, che non dovrebbero conoscere né latitudini, né matrici ideologiche in senso stretto.
La continua ricerca sul linguaggio ha fatto di Fo uno sperimentatore unico, tanto più mirabile, perché attivo in un frangente storico nel quale le Avanguardie avevano cessato la loro funzione, ormai, da tempo.
Dario Fo al centro sociale Leoncavallo -(dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Dario_Fo)
E neanche si può dimenticare come il Grammelot, messo in scena da Fo, sia tuttora la forma più avanzata di rielaborazione di un linguaggio privo di un immediato riferimento semantico, quasi a voler dimostrare come, spesso, i suoni costituiscano un valore concettuale intrinseco, che va oltre ogni scissione fra segno e significato.
Con la morte di Fo, dunque va via un intellettuale, un artista ed un polemista di uno spessore che, nel corso degli ultimi quarant’anni, è paragonabile solo a quello di Pier Paolo Pasolini: non a caso, questi fu eliminato fisicamente, mentre Fo, prima del Nobel, fu eliminato civilmente, visto che non gli veniva consentito alcun passaggio televisivo, nonostante - ogni sera - egli fosse in grado di riempire le sale dei teatri con gli operai e con gli indigenti di mezza Italia.
Molto probabilmente, la sua natura di “uomo contro” gli ha nociuto due volte: prima dell’affermazione internazionale, visto l’oblio nel quale, appunto, lo avevano relegato; dopo il successo del Nobel, visto che il consenso ricevuto era solo mera espressione, a volte, di un ipocrita servilismo, intriso di un sentimento nazionalistico, che è l’atteggiamento - culturale ed emotivo - più lontano dalla mentalità e dall’arte di Fo.
A questo punto, scomparso l’ultimo giullare d’Italia, cosa facciamo?
Chiudiamo la scena teatrale?
Certo che no.
Lo spettacolo andrà avanti, così come è successo dopo la morte di Pirandello o di Eduardo o di Scarpetta, ma invero avremo un fustigatore di costumi in meno rispetto al recente passato, nel momento in cui, probabilmente, l’Italia ne avrebbe avuto più bisogno.
Una perdita, quindi, che si amplifica, data la contingenza storica, che stiamo vivendo, ma ormai, anche grazie a quel giullare, il machiavellismo italiano si è disvelato sempre più e, forse, un po’ tutti, di conseguenza, abbiamo un sistema immunitario più forte e cosciente.
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