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domenica, 25 settembre 2016 07:55 |
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Rosario Pesce
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L’esigenza di una politica migliore è, fortemente, avvertita da tutti gli Italiani, che – non a caso – da diversi decenni sono alla ricerca del partito o della personalità, che possa soddisfare un tale legittimo desiderio. -
Dopo il ciclone di Tangentopoli e, quindi, la conseguente caduta della I Repubblica, la ricerca ansiosa della novità è stata il refrain di molte stagioni del dibattito politico, alcune delle quali si sono concluse molto tristemente.
In primis, Berlusconi fu individuato da moltissimi Italiani come il possibile interprete di un rinnovamento delle istituzioni, che doveva rendere il nostro Stato molto più agile ed efficiente di quanto non lo fosse alla fine degli anni Novanta.
La stagione del berlusconismo, però, nonostante sia durata circa un ventennio, ha prodotto esiti catastrofici, dal momento che il senso del bene comune si è disperso assai rapidamente, fino a determinare e compulsare un desiderio di soddisfacimento di interessi particolaristici, che - certo - non si addice ad una comunità che sia virtuosa e, tendenzialmente, spinta alla crescita.
Successivamente, la spinta del berlusconismo è stata compensata, almeno in parte, da una volontà di ritorno all’idea di democrazia rappresentativa, incarnata da Prodi, ma soprattutto dai partiti del Centro-Sinistra, sempre meno legati ad una leadership carismatica e sempre più fondati sul gioco delle correnti, come lo erano, appunto, le formazioni della I Repubblica.
Un siffatto schema, più incentrato sulla varietà e molteplicità degli attori, che non sul primato del singolo, è stato rapidamente liquefatto dalla dinamica delle cose: se non esiste un leader, universalmente riconosciuto dai suoi stessi supporters, non può esserci assolutamente alcun futuro per una coalizione di movimenti e partiti, di cui finiscono per evidenziarsi più i fattori di divisione, che non quelli di unità.
Di fronte a siffatti fallimenti, quindi, è intervenuta una nuova tendenza, il renzismo, che ha cercato di mettere insieme gli aspetti salienti della politica precedente: da una parte, il leaderismo spinto di Berlusconi e l’ansia, pertanto, di agire entro una cornice più tipica della democrazia diretta; dall’altra, le idee (almeno, vagheggiate) di una forza riformatrice e liberal-progressista, quale avrebbe dovuto essere il Centro-Sinistra prodiano e vorrebbe essere, tuttora, il PD di nuova fattura.
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Tale stagione, di cui stiamo vivendo la fase epigonale, si è consumata molto più rapidamente di quanto non siano passate le fasi precedenti, visto che, dopo due anni e mezzo circa di premierato renziano, oggi la fiducia degli Italiani nel loro Presidente del Consiglio è giunta al minimo storico.
Di fronte, dunque, a questo ennesimo fallimento, è emerso il quarto fenomeno della politica post-Tangentopoli, Grillo ed i grillini, che non sono più una mera forza di opposizione, ma sono, ormai, divenuti un partito di governo, dopo la conquista di grandi città, come Roma e Torino in particolare.
Evidentemente, dopo tali successi, si sono scontrati con la complessità della gestione, che è cosa assai più complessa dell’opposizione fine a se stessa ed, a quanto pare, i primi risultati, almeno nella città capitolina, non sono soddisfacenti, visto che evidenziano una mancanza di visione unitaria, che invero danneggia non poco chi intende amministrare non per improvvisazione, ma coordinando progetti e linee strategiche.
La buona politica, per tal via, diviene sempre più una chimera, e gli Italiani molto probabilmente non potranno mai vederla concretamente realizzata, dal momento che, per tale strada, entra in cortocircuito il valore stesso della partecipazione alla vita, compiutamente, democratica.
Non è un caso se i nostri concittadini, che vanno al voto, sono sempre di meno, a dimostrazione del fatto che lo scollamento fra il Paese reale e le istituzioni non solo è un dato acquisito, ma rischia di divenire, purtroppo, un fatto irreversibile e, tendenzialmente, crescente.
Chi ci salverà da una simile dinamica, che purtroppo investe non solo la politica, ma anche altri ambiti del vivere sociale?
Molto probabilmente sarà necessaria la catarsi di un popolo, che troppe volte ha delegato ad altri scelte stringenti per il proprio futuro, per cui è venuto a trovarsi in una condizione di generale e diffusa disaffezione per tutto ciò che è cosa e bene pubblico.
Forse, sarà necessario tornare alla lezione di democrazia dei nostri antichi antenati greci?
O, forse, più semplicemente l’Italia dovrà rassegnarsi ad essere imbonita dal prossimo pseudo-Salvatore della patria, che, in virtù del potere economico e – magari – mediatico, sarà capace di acquistare il consenso degli Italiani come la più ovvia merce, che si offre banalmente ai banchi del supermercato?
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