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sabato, 10 settembre 2016 23:00 |
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Rosario Pesce
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L’intervista di stamane dell’ex-Presidente della Repubblica ha riaperto, indubbiamente, i giochi in vista del referendum costituzionale.
Fino ad oggi, la partita sembrava chiusa: un muro contro muro fra chi, all’interno del PD, è sulle posizioni del Presidente del Consiglio e chi, invece, è su quelle della minoranza.
Napolitano ha offerto una chance molto opportuna con la sua riflessione: si potrebbe dire che sia nato il lodo Napolitano.
In cosa consiste?
Da una parte, la minoranza del PD è invitata a votare per il Sì al referendum, aiutando così il Premier a vincere la tornata referendaria; per altro verso, l’ex-Presidente della Repubblica ha chiesto a Renzi di riaprire il dibattito intorno alla legge elettorale, venendo - perciò - incontro a chi contesta un automatismo che, oggi, favorirebbe l’ascesa dei Grillini e, soprattutto, costituirebbe un elemento pericoloso, se lo si considera in funzione della riforma della Costituzione.
La proposta dell’ex-Capo dello Stato è ragionevole, tant’è che lo stesso Renzi non ha potuto non cavalcarla a poche ore dalla pubblicazione dell’intervista di Napolitano.
Peraltro, l’odierno inquilino di Palazzo Chigi, certo, non esce bene dai giudizi di Napolitano, il quale lo ha rimproverato per aver eccessivamente personalizzato una contesa referendaria, che non doveva divenire un plebiscito in favore o contro lo stesso Renzi.
La dinamica, emersa con le parole di Napolitano, è la stessa degli ultimi anni: l’ex-Presidente della Repubblica, dall’alto della sua autorevolezza politica ed istituzionale, ha molto probabilmente sempre dettato la linea ai vari Presidenti del Consiglio, da Monti a Letta allo stessi Renzi, che sono andati a Palazzo Chigi subito dopo la caduta di Berlusconi.
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Ora, di fronte alle difficoltà evidenti, Napolitano ha tentato di offrire un assist al fronte del Sì, cercando così di recuperare il consenso, almeno, della minoranza bersaniana del PD, che - già da tempo - aveva richiesto un baratto al tavolo delle riforme: il miglioramento della legge elettorale in cambio del voto in favore della revisione della Costituzione.
È evidente che un simile percorso, qualora fosse tracciato e seguito fino in fondo, di per sé non assicurerebbe la vittoria referendaria, ma invero contribuirebbe a rasserenare gli animi e ad eliminare la tensione interna, che finora ha nociuto - non poco - al primo partito italiano.
Certo è che la pubblica opinione nazionale segue poco o male le dinamiche del Palazzo, per cui l’intervista può aver modificato, in modo irrilevante, gli orientamenti dei cittadini, che - da mesi - hanno dato al referendum una significazione politica, che dovrebbe - di per sé - far propendere l’esito dello stesso per il No.
Per tal via, però, minoranza e maggioranza del PD dovrebbero, almeno, riconoscersi fra di loro, cosicché, in caso di sconfitta di Renzi e di nascita eventuale di un Governo differente da quello odierno, i rapporti fra renziani e bersaniani potrebbero favorire una svolta, che eviti al Paese di andare al voto anticipato, che sarebbe una disgrazia di non poco peso per un Paese, che oggi è allo sbando.
Noi non potremo che seguire lo sviluppo delle vicende di questi giorni, ben sapendo che l’Italia aspetta delle risposte concrete dal ceto politico, per cui la sua delegittimazione non potrebbe che amplificarsi, qualora si continuasse a percorrere la strada della divaricazione netta fra i cittadini e quanti sono chiusi nel Palazzo, a difendere - talora - privilegi che non hanno più senso.
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