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Ricostruire o edificare?

domenica, 28 agosto 2016 00:10

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Rosario Pesce
La vicenda del terremoto, che ha colpito il Lazio e le Marche, non merita, affatto, di essere oggetto di speculazione, come pure alcuni organi di stampa hanno fatto o hanno tentato di fare: quando ci sono dei morti in gioco, non si deve assolutamente piegare gli eventi ad una sterile ed antipatica polemica.
Certo è che non possiamo esimerci dal fare alcune riflessioni in merito ad un elemento di dibattito, intorno al quale hanno ragionato, nel corso degli ultimi trent’anni, sia i politici che i tecnici.
Il nostro Paese è disseminato di tanti piccolissimi centri urbani, molti dei quali, di origine medioevale o moderna, sorgono in zone interne molto impervie ed, in particolare, sottoposte al rischio sismico o idro-geologico.
È ben noto, infatti, che la catena appenninica sia un’area esposta ad un pericolo sismico rilevante: non è un caso, se tutti gli ultimi devastanti terremoti hanno colpito centri dell’Appennino, dall’Irpinia all’Umbria, dal Lazio alle Marche ed agli Abruzzi.
Orbene, cosa si è fatto per mettere in sicurezza dei tessuti urbanistici, le cui origini risalgono, talora, a millenni fa?
In tutti questi anni, già a partire dal 1980, non è stata mai messa in essere una seria politica di manutenzione di siffatti centri, nonostante in quell’anno si fosse verificato il terremoto di epoca moderna più devastante del Sud peninsulare, quello che colpì i centri dell’Irpinia.
Si è preferito costruire nuove case, far nascere nuovi borghi, dar vita a nuovi insediamenti umani, piuttosto che ripristinare il vecchio, mettendo gli antichi fabbricati nelle condizioni di non essere distrutti in caso di forte scossa sismica.
Molto probabilmente, costruire il nuovo piuttosto che riadattare il vecchio e renderlo compatibile con gli avanzamenti della tecnologia e della scienza edile comporta profitti maggiori per gli imprenditori del settore, così come porta maggiore consenso ai politici, che sono sempre più propensi a legare il loro nome alla costruzione ex-novo, più che alla funzionalizzazione del vecchio.
I risultati, purtroppo, poi sono quelli che abbiamo notato in questi giorni: l’Italia è un Paese geologicamente fragile, per cui, se si verifica una scossa particolarmente intensa ovvero straordinariamente lunga, vengono giù interi centri cittadini ed, a distanza di molte ore, non si conosce neanche la contabilità esatta dei morti e dei dispersi.
Eppure, i fondi non sono mancati: negli ultimi trent’anni, sono piovuti diversi miliardi di euro dall’Unione Europea, che potevano essere utilizzati diversamente, per cui non si può, neanche, invocare la mancanza di danaro come alibi per la mancata messa in sicurezza dei nostri splendidi centri medioevali e rinascimentali.
Nel corso dei dibattiti, sorti all’indomani dell’ultimo tragico evento sismico, qualche giornalista, un po’ cinicamente, ha affermato una verità, che purtroppo va contro ogni legge della morale, sia laica che cristiana: il terremoto laziale e marchigiano (che, finora, ha prodotto la morte di circa trecento individui) può essere uno straordinario volano economico per il Paese, visto che pioverà copioso danaro per la ricostruzione dei centri, che sono andati, definitivamente, distrutti.
Ovviamente, l’affermazione ha in sé un contenuto di fredda verità: le aree, colpite dal sisma, riceveranno tanto denaro, sul cui utilizzo, però, dobbiamo noi tutti stare attenti.
Amatrice, come L’Aquila ai tempi di Berlusconi, sarà ricostruita in un’area diversa da quella dove sorgeva fino a pochi giorni or sono?
Ovvero, le case saranno ricostruite esattamente laddove sorgevano, ripetendo anche il medesimo stile in muratura, che le caratterizzava?
Certo, l’esperimento della new town de L’Aquila è, miseramente, fallito: non solo sono state costruite nuove abitazioni, che poco o nulla avevano in comune con la millenaria cultura urbanistica di quella terra, ma in particolare sono state deportate intere popolazioni in un’area, per vocazione, diversissima da quella dove sorge, tuttora, il centro storico diroccato ed, ormai, distrutto in gran parte.
Pertanto, con un mero intervento di natura urbanistica, sono stati prodotti ed indotti dei cambiamenti, culturali ed economici, che hanno stravolto la storia di una città, ponendo un fattore di discontinuità fortissimo rispetto ad un passato più che millenario.
Sarà fatta la medesima scelta con Amatrice?
La cultura urbanistica del Lazio dell’entroterra lascerà il posto a moderne ed anonime town, che possono andare bene solo laddove non è mai esistita una storia precedente?
Saranno antropizzati nuovi spazi, per cui quelli, che oggi ospitano le macerie del sisma, diventeranno un funesto museo a cielo aperto, che - di per sé - sarà la più forte denuncia contro la scarsa intelligenza umana, che non è stata in grado di preservare ciò che, a tempo debito, andava difeso e consolidato per non causare la perdita di valori storici, affettivi e morali, stratificatisi nei secoli?
Renzi giocherà una parte importante della sua residua credibilità sulla vicenda del terremoto: progettare la rinascita di Amatrice così come all’epoca Berlusconi fece tragicamente con L’Aquila, significherà ripetere un errore grave e fatale, per cui un'eventuale siffatta scelta dimostrerebbe che la classe politica italiana è, per davvero, incorreggibile ed inadeguata al compito istituzionale, che le viene affidata per mandato democratico.
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