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venerdì, 09 gennaio 2015 23:30 |
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Assisi: basilica superiore di S. Francesco
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Rosario Pesce
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I reiterati attacchi terroristici, che si stanno verificando a Parigi, inquietano non solo l’animo dei Francesi, che hanno percepito la propria condizione di insicurezza, derivante dalla paura dei frequenti assassini, ma quello di tutti gli Europei, visto che la battaglia - militare e politica - che si sta realizzando nelle strade di Francia, coinvolge l’intero continente, ormai messo a ferro e fuoco dai terroristi islamici.
È, questo, un evento capitale della storia continentale, importante almeno quanto l’aggressione alle Torri Gemelle di New York, che si verificò nel settembre del 2001, anche se nel caso francese siamo in presenza di un fattore ben più grave: quelli che stanno sparando, a rischio di mettere in gioco la propria esistenza, pur di uccidere il maggior numero possibile di cittadini europei, sono per lo più nord-africani, già divenuti francesi, visto che essi o sono nati sul suolo transalpino o, comunque, hanno sposato donne nate in Francia, acquisendo così la possibilità del passaporto del Paese europeo.
Purtroppo, non solo il fanatismo religioso è l’elemento scatenante di una violenza tanto inaudita, quanto efferata, ma le motivazioni, che possono essere alla base di fenomeni così radicali, sono ben altre.
La Francia, per decenni, ha rappresentato un modello di integrazione, dal momento che in quel Paese, molto meglio che in altre realtà del vecchio continente, la comunità nord-africana e musulmana ha convissuto, in modo pacifico, con le popolazioni autoctone.
Da qualche anno a questa parte, l’odio sociale è, però, scoppiato in modo eclatante, condito in questa circostanza anche da quello di natura religiosa, alimentato viepiù dalle tristi vicende siriane ed irachene, che hanno sprigionato una carica di violenza così forte, che mai si era vista dalle nostre parti.
La realtà, infatti, delle periferie parigine è fatta di tante storie di pessima integrazione: quartieri interi abitati da musulmani, che svolgono i ruoli più umili e sottopagati fra quelli offerti dall’economia transalpina.
La Francia è, sempre, stata un coacervo di razze, ma queste non si sono mai effettivamente mescolate fra loro, per cui si è verificata una mera sovrapposizione di colori e credi religiosi, che oggi rischiano di non poter più convivere.
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Masjid al-Haram a Mecca (la più grande moschea del mondo) - da: http://it.wikipedia.org/wiki/Moschea#mediaviewer/File:Kaaba_Mirror_like.jpg
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È evidente che, dopo le stragi degli ultimi giorni, i cittadini francesi e quelli di origine araba non potranno non guardarsi in cagnesco, visto che ciascuna delle due parti non potrà non vedere un potenziale nemico nell’altro, pronto magari a farsi, finanche, saltare in aria pur di mettere in scena un attentato o, comunque, un atto dimostrativo, che sia il funesto segno di un disagio, a cui la democrazia non riesce a porre rimedio, ricorrendo ai metodi ordinari.
Ed, infatti, in gioco oggi è la democrazia occidentale, la sua capacità di inserire ed integrare, in un medesimo contesto sociale, persone molto diverse fra di loro, evitando che queste possano giungere a farsi la guerra reciprocamente per le strade di Parigi o Roma o Londra, come se fossero divenute quelle di Teheran o Baghdad o Damasco.
Agli inizi del XXI secolo, abbiamo tutti creduto che si potesse costruire un mondo migliore di quello del secolo precedente, visto che era finito il Comunismo e, con esso, la contrapposizione fra la parte occidentale e quella orientale dell’Europa.
Invece, constatiamo che il mondo creato è, forse, peggiore di quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle: non solo guerre e stragi, che peraltro coinvolgono innocenti, ma soprattutto è il sentimento di avversione il fattore che rende tragiche le giornate, che stiamo vivendo. La nostra cultura cristiana, come quella laica del Settecento, ci ha sempre insegnato a rispettare il prossimo e a non fare violenza contro questi, tanto più quando le idee non dovessero convergere, visto che il sale della democrazia è costituito - appunto - dalla convivenza fra diversi e molteplici. Purtroppo, si evidenzia una condizione ben peggiore di quella auspicata: si uccide in nome di un Dio e di un credo, peraltro monoteista, come il nostro, per cui il sogno di creare un consesso sociale, finalmente, pacificato non solo è tramontato quasi definitivamente, ma soprattutto rischia di portare con sé una serie di incubi, che difficilmente potranno essere smaltiti dalla coscienza, anche, più tollerante ed aperta al dialogo. Fatti simili sono la pre-condizione perché la peggiore Destra della storia europea, quella xenofoba ed anti-ebraica, riversi sull’Islàm i suoi strali, chiedendo leggi speciali ed, in particolare, un rigore meramente funzionale al meno auspicabile dei progetti politici, dato che una nazione di circa cento milioni di abitanti non si può governare con il ricorso allo stato di guerra e, dunque, con la nascita di un sistema di giustizia, per cui diventa lecito che un gendarme spari a vista su un individuo di diversa etnìa dalla sua, perché ritenuto sospetto di essere un terrorista. L’aspirazione occidentale è stata, in ogni epoca, quella di esportare la democrazia, le libertà, lo sviluppo economico, il sentimento di fratellanza, il mito dell’uguaglianza, formale e sostanziale: invece, in particolar modo dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, abbiamo iniziato ad esportare metodi di governo assolutamente incongrui con le migliori aspettative. Guerra, sentimenti di odio fra classi sociali e persone di diverso colore della pelle, inimicizia con lo straniero, sono queste alcune delle condizioni, che abbiamo diffuso in quei territori lontani migliaia di chilometri dalle nostre case, credendo cinicamente che il modello di vita e produzione occidentale potesse alimentarsi sulla povertà e sulla conflittualità permanente in altri luoghi del mondo.
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Moschea del Profeta a Medina (sorta sul sito della più antica moschea del mondo)
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Quello che abbiamo esportato altrove, ora – con i dovuti interessi – sta rientrando in Europa, per cui si verifica che migliaia di individui, che frequentano i nostri stessi bar o che possiamo incontrare nella metropolitana, sono disposti a farsi saltare in aria, pur di ucciderci o progettano di entrare nella sede di una testata giornalistica, per ammazzare senza pietà coloro che hanno peccato – ai loro occhi – di blasfemìa, solo in virtù della creazione di vignette, colpevoli unicamente di essere espressive della libertà di stampa, garantita dalle Costituzioni occidentali.
Oggi, questo mondo, realizzato in maniera siffatta, si ritorce contro di noi, per cui i nostri figli, le nostre mogli, noi stessi sentiamo di non essere più al sicuro, quando saliamo a bordo di un treno o quando entriamo in un supermercato o quando andiamo a visitare un museo o entriamo in un cinema: il nostro vicino di casa, solo perché credente in una fede diversa dalla nostra, potrebbe essere in quei luoghi la causa della nostra morte, come di quella di molte migliaia di nostri simili.
Cosa fare, allora, per creare una società, finalmente, pacificata?
Forse, bisognerebbe provare a mettere da parte Dio rispetto ai ragionamenti umani e terreni?
La Francia ha già percorso questo sentiero, ma – a quanto pare – gli esiti sono disastrosi: non si può negare ad un musulmano di recare i simboli della sua religione, così come non si può più chiedere ad un cristiano di nascondere il suo Crocefisso.
Le religioni ed i modi di vita, che esse determinano, non possono essere soffocati in nome di una presunta neutralità statuale; una tendenza politica simile equivarrebbe - mutandis mutatis - al gesto quotidiano della massaia che, per non far vedere la sporcizia che serba in casa, tenta di spingere la polvere sotto al tappeto: prima o poi, il tutto non potrà che emergere e causare conseguenze nefaste.
Vengono i nodi, quindi, al pettine: bisogna ripensare i nostri sistemi di integrazione interetnica, immaginare una società di persone, effettivamente, uguali davanti alla legge; ipotizzare che si possa dare il pane a quanti non lo hanno, non solamente nella nostra società, ma in tutte le regioni del pianeta, perché altrimenti la povertà disperata del Sud del mondo, prima o poi, busserà alle nostre porte e lo farà in modo tanto violento, quanto fragoroso.
Siamo pronti a vincere la scommessa della governabilità di processi così complessi, che devono ipotizzare lo sforzo di molte generazioni?
Siamo pronti a mettere da parte la reazione di quanti, nell’immediatezza degli esecrabili fatti accaduti in questi giorni, chiedono la somministrazione di pene esemplari, utili unicamente ad alimentare viepiù il regime di terrore, che centri di potere non democratico vorrebbero istituire per dominare meglio l'articolata complessità odierna?
Infine, siamo pronti a rinunciare ad una parte cospicua del nostro benessere, per consentire ai bambini ed agli adulti affamati del Terzo e del Quarto Mondo di vivere e di consumare ciò che, per noi, invece è eccessivo e ridondante?
Forse, come per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, così per noi oggi sarebbe opportuno incontrare idealmente, nelle piazze del mondo, il nostro diverso e, lì, creare le premesse perché ci si possa saldamente tenere per mano nel perseguire il difficile compito di concretizzare una convivenza tanto composita, quanto invero necessaria per ciascuno di noi ed, in particolare, per le generazioni future.
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