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Giustizia e politica: un dissidio continuo

giovedì, 28 aprile 2016 14:26

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Rosario Pesce
È evidente che il nostro Paese, sin dai tempi di Tangentopoli, vive un rapporto assai problematico e difficile con le questioni relative all'amministrazione della Giustizia.
Infatti, non solo i dati dimostrano che la corruzione è incrementata notevolmente dai tempi delle inchieste del Pool di Mani Pulite di Milano, ma il Paese intero vive una percezione ancora più forte di tale fenomeno, per cui, nell'immaginario collettivo, la parola "politico" diviene spesso sinonimo di "criminale".
È ovvio che tale visione determini effetti assai pericolosi, visto che la delegittimazione del ceto politico di una nazione non fa, invero, bene a quel popolo, che viene poi amministrato da un gruppo di individui, sulla cui moralità - a torto o a ragione - piovono dubbi molto forti.
A dire il vero, la questione dei rapporti fra la politica e la Giustizia non è mai scomparsa del tutto, visto che, innanzitutto, per venti anni la scena istituzionale è stata occupata da chi, come Berlusconi, ha fatto degli attacchi alla Magistratura il punto di forza della sua stessa propaganda elettorale, rappresentando bene gli umori di un popolo, che forse per qualche anno ha mal digerito gli eccessi e gli ineluttabili errori, obiettivamente contenuti in talune articolazioni dell'azione giudiziaria di questa o di quella Procura.
Oggi, invece, il clima è cambiato e, dunque, siamo tornati in qualche modo a respirare il medesimo clima, che si avvertiva nel biennio 1992/94, quando l'esponente di turno delle istituzioni era mal visto ed inviso alla pubblica opinione, per cui gli Italiani simpatizzarono con quei giudici, che amministrarono la Giustizia, decapitando l'intero ceto dirigente della Prima Repubblica.
Non è un caso se il M5S prende una caterva di voti, additando come unico punto qualificante del suo programma la questione morale, che di fatto si era aperta nel Paese alla fine degli anni Settanta con le campagne condotte dai Comunisti, all'epoca guidati da Enrico Berlinguer.
Renzi, con il piglio che lo caratterizza, pare essere tornato sulle medesime tracce di Berlusconi, facendo intendere che non ha paura di avviare un braccio di ferro con quella parte di potere giudiziario, che egli ritiene essere politicizzato, per cui amministrerebbe la Giustizia in modo scarsamente sereno.
Le sue parole e quelle contrapposte del giudice Davigo, appena eletto ai vertici dell'Associazione Nazionale dei Magistrati, per cui il ceto politico, invece, sarebbe in gran parte corrotto, divenendo protagonista di fenomeni criminali molto diffusi, certamente non aiutano a rasserenare gli animi, visto che la guerra continua fra il potere esecutivo e quello giudiziario non fa bene a nessuno, in primis non produce vantaggi agli Italiani, che hanno bisogno di magistrati molto autorevoli e di rappresentanti istituzionali, che possano esercitare il loro compito, non essendo destinatari di alcun sospetto circa la loro pubblica moralità.
Peraltro, è ovvio che la politica non può e non deve, in verità, polemizzare con i giudici, visto che il suo compito precipuo è quello di fare le migliori leggi possibili, che siano in grado di accelerare il giusto e corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali da parte di chi ha vinto un concorso pubblico per divenire magistrato.
Altresì, non si può negare che la Magistratura, in alcuni momenti storici, anche indipendentemente dalla sua obiettiva volontà, ha svolto una funzione di supplenza, sostituendosi di fatto al potere politico nell'immaginario collettivo.
Non è un caso se, in un particolare passaggio della storia nazionale, tutti i vertici dei partiti italiani sono stati occupati da ex-giudici, transitati alla carriera parlamentare dopo aver svolto la funzione giurisdizionale per molti anni, a dimostrazione del fatto che, crollate le vecchie classi dirigenti, ovviamente la Magistratura è divenuta un serbatoio da cui è stata presa gran parte del nuovo ceto politico, anche con risultati, talora, non affatto brillanti.
Pertanto, per evitare la ripetizione degli stessi errori del recente passato, da una parte e dall'altra, è auspicabile che i due poteri dello Stato tornino a dialogare fra di loro, evitando di creare una situazione, fatta di manicheismi e di contrapposizioni ideologiche, che semplicemente riporterebbero il nostro Paese a vivere un clima da barricate, che fa assai male sia ai giudici, che ai politici, di per sé già non amati abbastanza dai cittadini.
In tal senso, sarebbe opportuno se il nostro Premier rivolgesse maggiori attenzioni ai problemi del Paese, perché il continuo riferimento polemico all'azione giudiziaria di una parte della nostra Magistratura non può che rinfocolare gli animi, che piuttosto dovrebbero tornare ad essere più sereni, dato che un clima di frontale e netta contrapposizione finirebbe per delegittimare tutti gli attori del presente momento storico ed, in particolare, getterebbe fango su chi fa il proprio lavoro di politico o di giudice nell'ambito rigoroso - formale e sostanziale - degli ordinamenti giuridici vigenti.
Torneranno, quindi, a dialogare politici e giudici?
Oppure, torneremo alle contrapposizioni fra guelfi e ghibellini, che non possono che danneggiare l'immagine di una democrazia, come la nostra, che tarda ad autoriformarsi ovvero, quando lo fa, si realizzano risultati che sono, a volte, ben peggiori rispetto alle condizioni di partenza?
Aspettiamo con ansia una risposta da tutti i partiti ed, in attesa di riforme certo coerenti ed eque, gradiremmo frattanto che il ceto politico possa allontanare da sé quanti non forniscono una bella immagine del proprio operato, facilitando così l'operato di chi deve scrivere sentenze e deve esercitare il potere della giurisdizione penale in condizioni, per davvero, assai difficili sia da un punto di vista ambientale, che organizzativo e logistico.
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