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domenica, 03 aprile 2016 19:16 |
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Rosario Pesce
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Il tema delle riforme è, certamente, uno dei più delicati in un Paese, come il nostro, nel quale non si perde occasione per criticare la Costituzione, addebitando alla stessa i limiti, che sono invece spesso causati dal cattivo agire delle classi dirigenti, che si sono succedute nel corso degli anni.
Orbene, nel prossimo mese di ottobre, l'appuntamento con il referendum costituzionale rappresenterà invero un punto di svolta, per diversi ordini di motivi.
Innanzitutto, sarà in gioco il destino del Governo, visto che Renzi e la sua maggioranza parlamentare si sono spesi, affinché la riforma del monocameralismo arrivasse al traguardo, anche attraverso accordi politici contro-natura, come quello realizzato con i fuoriusciti di Forza Italia.
Inoltre, è evidente che ci sia in gioco il destino del Paese: una riforma così forte, che di fatto riduce ad una sola la Camera legislativa, porterebbe il nostro Stato a strutturarsi su equilibri molto diversi rispetto a quelli su cui si è costruito nel corso degli ultimi sessanta anni.
Peraltro, il combinato disposto della riforma costituzionale con l'introduzione della nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati, ineluttabilmente, riduce gli spazi di democrazia, visto che il potere decisionale degli elettori verrebbe mortificato ben due volte, per effetto appunto di un intreccio fra leggi ordinarie e norme costituzionali, che definire perverso è dire poco.
Non possiamo dimenticare, in verità, che il tema delle riforme è presente sulle agende della politica nazionale da ormai quaranta anni, senza che nessuno sia stato capace di innovare, effettivamente, lo Stato.
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Anzi, l'unica riforma costituzionale, andata in porto nel 2001, quella cioè relativa al Titolo V della Carta, ha rappresentato un vulnus di dimensioni non secondarie, visto che il trasferimento di competenze e di poteri alle Regioni ha incrementato, notevolmente, il numero di stazioni appaltanti e di centri di committenza, per cui si è dato, con quella sciagurata legge di riforma, un avvio straordinario alla moltiplicazione del debito pubblico, oggi fuori controllo, ed al disfacimento progressivo dello Stato, così come lo avevamo conosciuto a partire dalla tradizione dello Statuto Albertino in poi.
Ora, forse siamo in presenza dell'ennesima riforma, che, se dovesse concludersi con esito positivo, forse aggraverebbe lo stato di cose esistente?
Noi crediamo che la riforma renziana sia un passo indietro rispetto alla civiltà giuridica del nostro Stato ed all' idea stessa di diritto, che pure la tradizione culturale italiana dovrebbe coltivare.
Infatti, se si riduce ad una sola la Camera con poteri legislativi, all'unico scopo di ridurre i costi della democrazia, allora si potrebbe ottenere il medesimo risultato riducendo in modo netto i parlamentari di entrambe le Camere, mantenendo però in piedi il principio sano del bicameralismo.
Ancora, non si intuisce il motivo per cui, mentre cambiano le attribuzioni del potere legislativo e la sua stessa interna organizzazione, si interviene così drasticamente sulla legge elettorale, limitando ulteriormente gli spazi di scelta da parte del cittadino, che ormai è costretto ad indicare la sua preferenza per una lista, da cui non può scegliere il candidato, se non per un numero di posti esiguo rispetto al totale dei parlamentari, potenzialmente, eleggibili.
Si sono costituiti molti Comitati, guidati da illustri uomini di cultura e da importanti costituzionalisti, allo scopo di fare propaganda intorno alle tematiche referendarie, per evitare che, poi, ad ottobre il voto popolare sia compulsato, solo, dai media vicini alle posizioni del Governo.
La partita, pertanto, è aperta: non è scontato che Renzi possa vincere una simile battaglia in modo facile, come egli pensava di fare, solo, dodici mesi or sono.
Oggi, le dinamiche della vicenda parlamentare hanno visto un indebolimento del Governo e del suo vertice, in particolare, per cui se, nei prossimi mesi, Renzi tenterà di giocare la carta del referendum per arrivare sano e salvo a fine legislatura, potrebbe farsi del male due volte, una volta nelle vesti di leader del suo partito ed un' altra in quelle di Premier.
Forse, è questa una ragione in più per andare a votare ad ottobre contro la proposta dell'Esecutivo, ben sapendo che sono in gioco non solo gli equilibri interni ad un Governo molto debole nel giudizio della pubblica opinione odierna, ma soprattutto si vota per scegliere se consolidare la democrazia rappresentativa ovvero distruggere un sistema ancora funzionante, non dando altresì - immediatamente - le opportune garanzie di libertà e di democraticità, in vista degli esiti ultimi del processo riformatore.
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