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venerdì, 09 gennaio 2015 22:08 |
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da: http://espresso.repubblica.it/foto/2015/01/08/galleria/je-suis-charlie-la-protesta-in-europa-1.194106#2
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Rosario Pesce
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Quella, verificatasi a Parigi, è una strage a cui mai avremmo voluto assistere: infatti, dei terroristi islamici sono penetrati nella sede di un noto giornale satirico della capitale francese ed hanno, barbaramente, ammazzato circa una quindicina fra agenti delle Forze dell'Ordine ed operatori giornalistici, accusati di aver pubblicato, in passato, delle vignette contrarie allo spirito dell’Islàm.
È evidente che la morte, quando viene portata da una mano omicida, non è mai lecita, né legittima; a maggiore ragione, non lo è, quando il movente addotto è la volontà di punire dei giornalisti, che hanno scritto i loro articoli umoristici in nome del sacrosanto principio della libertà di stampa, così come sancisce la Costituzione di qualsiasi Paese civile e democratico.
Peraltro, ad essere gravemente colpita è una nazione, come la Francia, che ha sempre avuto una tradizione di integrazione, a tal punto che la società d’oltralpe è una di quelle che riesce a far convivere da decenni, nel modo più pacifico possibile, varie etnìe e differenti comunità religiose.
L’accusa di blasfemìa, mossa dai terroristi per giustificare il loro folle atto omicida, cozza pesantemente con i principi della consolidata civiltà giuridica occidentale, visto che fa riferimento a società - come quelle governate dall’Islàm integralista - che non differenziano la dimensione religiosa da quella laico-statale.
Purtroppo, eventi simili potranno accadere sempre più sovente nei prossimi anni, quando, per effetto delle vicende militari, che si svolgono in Medioriente, la guerra rischierà di trasferirsi nelle strade delle nostre metropoli ovvero nelle redazioni dei giornali o nelle sedi istituzionali, come accadde - qualche mese fa - nel Parlamento canadese.
È ovvio che – senza voler cadere nella retorica – siamo in presenza di due civiltà - quella europea e quella integralista islamica - le cui regole sono assolutamente incompatibili, perché troppo diverse fra loro sono le tradizioni e le rispettive culture.
L’Europa, nei decenni scorsi, è stata costruita per evitare che atti di guerra si potessero consumare sul suolo continentale; questo obiettivo, in gran parte, è stato conseguito, visto che - per fortuna - gli Europei non si uccidono più reciprocamente, ma si sta perdendo un’altra scommessa, altrettanto importante: quella dell’integrazione fra cristiani e musulmani, fra ebrei ed islamici, talora - finanche - fra cristiani ed ebrei.
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Quella parigina è una vicenda, che scuote - non poco - non solo la coscienza civica francese, ma quella di tutti i Paesi occidentali impegnati nella lotta contro il terrorismo e nella legittima difesa della libertà di parola e, soprattutto, di stampa.
Peraltro, colpisce il fatto che una pattuglia di terroristi abbia potuto progettare un pluri-omicidio così efferato, rimanendo impunita, come – finora – è successo nel caso della strage consumata presso la redazione del giornale satirico parigino.
Forse, il processo di integrazione è, solamente, agli inizi e, fino al raggiungimento auspicabile di una condizione ideale, molto altro sangue innocente dovrà, ancora, scorrere?
Probabilmente, noi Europei non siamo stati capaci di dialogare con l’Islàm moderato, allo scopo di isolare - nella comunità musulmana - i settori meno propensi all’integrazione e al dialogo interculturale?
Forse, anche il mondo occidentale ha compiuto, talora, qualche eccesso, che poteva essere prevenuto ed evitato?
Le domande restano molteplici e, certamente, rimarranno irrisolte per molto tempo.
Certo è che gli Stati nazionali e l’Europa, nel suo complesso, dovranno cambiare radicalmente le loro politiche, venendo incontro a chi è portatore di una cultura radicamente diversa dalla nostra: a volte, uno strisciante razzismo fra noi è, ancora, vivo ed - invero - non aiuta la comunicazione fra ambienti, sociali e religiosi, distanti anni luce fra loro. L’Italia - contrariamente al Regno Unito, alla Francia ed agli Stati Uniti - fortunatamente non è mai stata presa di mira dal terrorismo islamico, perché, sin dagli anni ’70 del secolo scorso, la nostra classe dirigente, politica ed economica, si è impegnata in un dialogo proficuo con il mondo arabo, pur nella molteplicità delle sue articolate espressioni.
Ma, i fatti della cosiddetta primavera araba, che hanno cambiato - a partire dal 2011 - il ceto politico degli Stati del Nord-Africa, non hanno aiutato a creare le premesse perché quella dialettica potesse continuare in modo soddisfacente per tutte le parti in causa: infatti, in quelle realtà, sono saliti al Governo gruppi di potere vicini agli ambienti, purtroppo, più truci dell’integralismo musulmano, anche per effetto di un errore grossolano di giudizio, commesso dalle nostre diplomazie, che hanno sottovalutato la pericolosità di quei cambiamenti, nel momento storico in cui essi si producevano.
Bisognerà, dunque, ristabilire un rapporto di collaborazione con chi, vivendo a poche centinaia di chilometri dalle nostre sponde, possono condizionare e sollecitare la furia omicida di chi, invece, vive in mezzo a noi, conservando tuttora una cultura che, comunque, rimarrà sempre del tutto irriducibile a quella europea, laica ed illuministica.
Sarà l’Europa in grado di vincere la scommessa della convivenza?
Da questa, dipenderà la possibilità stessa che esista un continente con le caratteristiche giuridiche e culturali, che abbiamo conosciuto - almeno - dal Settecento in poi, perché non potremo, in verità, in modo ingenuo continuare a pensare di aver creato il migliore dei mondi possibili.
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