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domenica, 17 gennaio 2016 14:00 |
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Rosario Pesce
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Non è nostra abitudine parlare di calcio, come lo si può fare comodamente al bar dello sport, ma oggi vorremmo porre l’accento su una tematica importante: qual è il nesso fra le squadre di calcio, seguitissime da migliaia di tifosi, ed i territori di competenza?
L’attuale campionato sta riservando una sorpresa importante: due squadre, diverse dalle corazzate tradizionali del calcio nostrano, potrebbero vincere il trofeo, laureandosi campione d’Italia.
Stiamo parlando, ovviamente, del Napoli e della Fiorentina, che, pur rappresentando i colori di città importantissime, non hanno vinto lo stesso numero di competizioni, nazionali ed europee, di Inter o Milan o Juve.
Sarebbe, questa, una novità importante, per cui tutti, a prescindere dalla fede sportiva di appartenenza, non possono non essere felici se, in primavera, lo scudetto arriverà in riva all’Arno ovvero alle falde del Vesuvio.
Sarebbe determinante, infatti, un esito simile, perché tornerebbero a coniugarsi fra di loro due valori essenziali: la fede sportiva, da una parte, ed il sentimento di appartenenza dall’altra, visto che, ineluttabilmente, a trionfare con le rispettive squadre sarebbero le città, che – pur diversissime fra loro – presentano, comunque, un potenziale di crescita comune, costituito dal fatto che sono ricchissime di arte e di cultura.
Quindi, un esito siffatto non solo potrebbe essere auspicabile, ma addirittura sarebbe il migliore viatico per rendere il calcio, finalmente, il veicolo di un messaggio positivo: non sempre, infatti, a vincere sarebbe il più ricco o il più potente, ma potrebbe trionfare anche quello che, seppur con minori risorse, riesce ad organizzarsi meglio dell’avversario, tanto più perché rappresenta una tradizione cittadina, nobile e prestigiosa, come nel caso fiorentino o napoletano.
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Il Napoli vincitore del suo secondo titolo italiano 1989-1990
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Così facendo, il calcio delle multinazionali e dei grandi giri di danaro tornerebbe alla sua antica tradizione medioevale, quando questo sport, nascendo fra i vicoli dei Comuni del Centro-Nord, rappresentava lo spirito di identificazione di contrade o di quartieri, per cui, in quel caso in particolare, la competizione era all’interno stesso della città, alla stessa maniera di quanto avveniva con il Palio di ippica.
Peraltro, è ben noto a molti che il calcio italiano abbia attraversato, nell’ultimo quinquennio, una crisi molto profonda, dovuta al fatto che i mecenati degli anni Novanta e del primo decennio del nuovo secolo abbiano deciso di non fare più investimenti e si sono, più o meno definitivamente, ritratti dall’agone calcistico, come è successo nei casi di Moratti e di Berlusconi, mentre l’altra grande espressione del capitalismo del Nord, la Fiat, ha continuato, finanche attraverso il salto generazionale, ad essere presente nello sport più amato dagli Italiani.
Tutti, allora, diventeremo tifosi del Giglio viola o del Ciuccio partenopeo, pur di interrompere la prosecuzione di dinastie, ormai, pluriennali del calcio e dell’economia nazionale?
Certo è che, in assenza di capitali italiani e di certi e solidi capitali stranieri, solo il sentimento di identità civica può riconciliare gli Italiani con lo sport da loro, un tempo, più amato, per cui, mutatis mutandis, si potrebbe tornare, proficuamente, allo spirito medioevale di appartenenza, che non sarebbe - di per sé - una "deminutio" in tempi - come quelli nei quali stiamo vivendo - di internazionalizzazione dei processi politici e produttivi.
Inoltre, non possiamo dimenticare che è stimato che l’eventuale successo sportivo indurrebbe un effetto positivo, in termini economici, stimato in molti milioni di euro per il territorio di riferimento della squadra vincitrice, per cui, a maggior ragione, non possiamo non auspicare che il trofeo, tanto ambito, possa finalmente arrivare, magari, al di sotto del Volturno, laddove Garibaldi, nel settembre del 1860, pose le basi del nascente Stato italiano.
Grideremo, quindi, tutti “Forza Napoli”?
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