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Perché si cavalca l’allarme sociale?

martedì, 06 gennaio 2015 20:18

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Rosario Pesce
La Pubblica Amministrazione è uno dei comparti, da sempre, maggiormente attenzionati dai cittadini, perché coloro che vi lavorano – a torto o a ragione – vengono considerati dei privilegiati, poiché avrebbero il cosiddetto posto “sicuro”, che poi tanto sicuro non lo è più, visto che il datore di lavoro pubblico, nel corso degli ultimi anni, ha fatto ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato molto di più di quanto non sia avvenuto nel settore privato.
La vicenda degli spazzini di Napoli e quella dei vigili urbani di Roma, che si sono assentati l’ultimo giorno dell’anno, inviando al rispettivo datore certificati medici o richieste di permesso ai sensi della legge n. 104/92, rappresentano, invero, fatti assai gravi, perché ovviamente la loro assenza di massa ha messo in serio pericolo lo svolgimento delle celebrazioni festive della notte di Capodanno, per cui è giusto che, alla luce della normativa vigente e dei contratti nazionali di categoria, se vengono accertate delle responsabilità di ordine penale e disciplinare, i colpevoli di atteggiamenti non probi, né verso la Pubblica Amministrazione, né verso le comunità cittadine di Roma e Napoli, paghino, come da diritto.
Ma – con altrettanta onestà intellettuale – bisogna ammettere, se si va ad analizzare con attenzione gli spiacevoli fatti in questione, che le polemiche sorte sono servite come alibi per fatti ben più gravi: purtroppo, nell’immaginario collettivo, la P.A. rappresenta il tumore più evidente di uno Stato, che funziona - sovente - poco e male, per cui - anche - la classe politica, per acquisire facile consenso, ha cavalcato l’allarme sociale che simili reati - qualora vengano dimostrati nella loro interezza - possono suscitare nei cittadini, che si sentono violentati, nei loro diritti fondamentali, da taluni impiegati pubblici che svolgono, male e con scarso spirito di abnegazione, i loro compiti professionali.
Un simile atteggiamento, non solo è pericolosissimo, ma addirittura controproducente: è inevitabile che, in un Paese che si rispetti, chi occupa posti di comando debba fornire il buon esempio, per cui gli impiegati fannulloni, che pure sono da biasimare, riproducono esattamente quanto fanno i parlamentari, in gran parte assenti in occasione dei lavori di Palazzo Madama e di Montecitorio, o quanto fa la classe di governo, che in un momento di crisi fortissima - come quello attuale - si permette il lusso, il giorno della Vigilia di Natale, di orchestrare la più grande ed immorale regalìa in favore di chi evade sistematicamente le tasse, violando il Codice Penale ed arrecando danno all’Erario, già in salute precaria.
Pertanto, l’aggressione, che i media hanno fatto, in questi giorni, contro i lavoratori - il cui comportamento, ripetiamo, è esecrabile - nasconde verità assai tristi intorno ad un Paese, dove la morale pubblica è stata, per decenni, messa sotto i tacchi da chi ha praticato - con criminale dolo - clientelismo, nepotismo e forme poco nobili di favoritismi di varia specie.
Certo, i cattivi esempi, che la cronaca giornaliera ci offre, non possono giustificare chi tarocca un certificato medico per non andare a lavorare, ma in verità aiutano a comprendere meglio la realtà attuale dell’Italia: un Paese permanentemente sull’orlo di una crisi di sistema, irreversibile, da cui però si salva perché, prima di cadere nel burrone, gli Italiani manifestano sempre una grande capacità di ripresa e di riscatto, che consente loro di stare - tuttora - nel novero delle popolazioni più civili d’Europa.
Per quanto tempo sarà, ancora, possibile mirare alla sopravvivenza non è dato sapere, ma si può immaginare che l’intero Paese debba darsi una scossa, se non vuole perire, così come sta accadendo ad altre nazioni, dal passato nobilissimo, come la Grecia, che non procedono al passo degli alleati europei e rischiano, seriamente, di rimanere fuori dal contesto continentale che, effettivamente, conta.
La classe politica ed i media, però, devono smettere di alimentare l’odio contro i pubblici dipendenti, usati - quasi - come alibi per nascondere peccati ben più gravi: nella contigenza, che stiamo vivendo, ogni cosa è necessaria e può tornare utile, tranne che una Crociata fra lavoratori autonomi e dipendenti ovvero fra cittadini e rappresentanti della Pubblica Amministrazione.
Tutte le categorie di lavoratori, dipendenti o autonomi, hanno contribuito - poco o molto - al fallimento odierno, per cui è davvero disdicevole tentare di fare graduatorie, indicando questa o quella come la responsabile principale del default, cui possono andare incontro, a breve, le finanze dello Stato.
È, ormai, giunto il momento storico di unire gli Italiani e non di dividerli ulteriormente, visto che la principale divisione, quella fra Meridionali e Settentrionali, ereditata dalle complesse vicende del 1861, non è stata ancora superata e da quella, forse, discendono tutte le disgrazie della società e dell’impianto istituzionale del XXI secolo.
Naturalmente, il primo esempio virtuoso lo aspettiamo dai cittadini, nel loro complesso, a prescindere dal tipo di lavoro, che essi svolgono, perché solo da loro e dalla loro indipendenza può discendere la chance del miglioramento di una classe dirigente, che, in verità, non può attardarsi nell’alimentare un dibattito triviale, tipico da bar dello sport.
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