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Legittima difesa: sparo o non sparo?

venerdì, 23 ottobre 2015 11:41

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Mafalda Bruno
Anzitutto un chiarimento: non ho una risposta secca a questo problema che anima i dibattiti in questi giorni. Per cui, ovemai qualcuno attendesse delle prese di posizione nette da questo articolo, sarà meglio che interrompa la lettura e si dedichi ad altro. Non mi offendo.
Il fatto che tanto fa discutere non è certo il primo della serie. Ormai è una litanìa continua di casi in cui chi viene aggredito o minacciato nella sua proprietà, reagisce difendendosi sino ad uccidere.
Diciamolo: questo fatto inquieta e pure tanto. E non solo perchè va contro il nostro atavico convincimento che ci porta ad osservare il quinto comandamento "non uccidere". Al di là di questo ovvio che non si uccide, ma è inquietante anche che ognuno di noi, se sorprende un ladro in casa di notte, arrivi ad uccidere per difendere sè stesso e i propri cari, poi diventi un indagato per omicidio volontario.
Ma volontario di cosa? E' stato forse Sicignano a dire al ladro di intrufolarsi in casa sua? Io sarei un volontario omicida se, che so, trovandomi a litigare con qualcuno in un luogo pubblico, per strada, in un parco ecc... agli insulti reagissi estraendo una pistola e sparando. Questo si può capire, ma non è la stessa cosa se la mia reazione fosse dettata 1- dalla sorpresa mista a terrore, 2- dalla pericolosità di chi mi si para davanti di notte in casa mia (livello di pericolosità di cui in quel momento non sono lontanamente al corrente), 3- dalla reazione più che naturale di voler difendere i cari della mia vita.
Ma secondo la magi­stra­tura e una parte di opinione pubblica, i cit­ta­dini non possono nè si devono trasformare in agenti 007 con licenza di uccidere, neanche in questi casi di estrema gravità.
Ci vorrebbe Salomone per sta­bi­lire quale sia il con­fine tra la legit­tima difesa ed un uso ecces­sivo della vio­lenza. E probabilmente i giu­dici sba­gliano nell’applicare una legge che non è sempre facile da comprendere. Ma sba­gliano anche nel con­dan­nare così pesantemente i cit­ta­dini che, sopraffatti dalla rabbia e dalla paura, aprono il fuoco con­tro ladri in fuga.
La cosa ovvia e civile, in un clima non agitato, sarebbe stata quella di richie­dere l’intervento delle Forze dell'Ordine invece di farsi giu­sti­zia da sé. Chiaro, lampante. Ma come si fa a non agitarsi davanti a simili tragici imprevisti in preda al terrore? Cosa dici al delinquente: "scusa un attimo, chiamo la Polizia?"
Sono sempre que­stioni farraginose, in cui vanno ricostruiti i fatti d'accordo: ma in quei momenti non c'è Freud a valutare lo sce­nario psi­co­lo­gico per decidere, in pochi attimi, l’intensità e la qua­lità delle paure e delle emo­zioni del malcapitato e le con­se­guenze delle pro­prie reazioni. Benchè, nel caso recente di Vaprio d'Adda, il malcapitato numero uno è stato indubbiamente il ladro ucciso. E Dio ci scampi dall'esultare per questo.
Cosa fare? Dalla parte di chi schierarsi? L'atteggiamento maturo e civile è, secondo me, che se è pur vero che la giustizia ha numerosi e pericolosi limiti, va tenuta sempre in grande conto la sua imprescindibilità.
Un Paese che lascia liberi i cit­ta­dini di difen­dere, come meglio ritengono, la loro pro­prietà, senza regole, leggi, vincoli e impedimenti, si trasformerebbe presto in un pericoloso Far West da film tipo "Go ahead, make my day" (coraggio, fatti ammazzare) nel quale ognuno di noi, sapendo di non incorrere in nessuna sanzione penale, potenzialmente si sosti­tui­rebbe alla Polizia e alla Magistratura.
Con il rischio, probabile e certo, che i cittadini più esagitati e magari un pò troppo amanti delle armi da fuoco, inizierebbero a sparare, stile John Wayne, a qualsiasi minimo rumore o cosa che si muovesse.
Insomma: non è facile avere una opinione precisa e netta. L'avevo detto all'inizio.
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