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lunedì, 05 gennaio 2015 19:22 |
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Rosario Pesce
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La conferenza stampa - consueta di fine anno - del Presidente del Consiglio ha avuto un oggetto molto importante, fra gli altri: l’elezione del prossimo inquilino del Quirinale.
È ben noto, infatti, che il Patto del Nazareno, contratto dallo stesso Renzi e da Berlusconi, nello scorso mese di gennaio, vincola entrambi i leaders, in particolare, sul tema delicatissimo dell’individuazione del successore di Napolitano.
È innegabile un fatto: anche se, ancora, non è stato fatto il nome del fortunato designato, è inevitabile che essi abbiano già pensato alla formula con cui eleggere il futuro Presidente della Repubblica.
Si intende far passare, infatti, come risultato di un accordo largo ciò che, invece, è frutto di un’intesa extraparlamentare fra il Presidente del Consiglio ed il patròn di Forza Italia: peraltro, i rispettivi partiti non sono stati, neanche, informati del nominativo, a cui hanno pensato Berlusconi e Renzi, i quali si guarderanno bene dal renderlo pubblico, prima che inizieranno le votazioni, previste per la conclusione di gennaio, visto che Napolitano dovrebbe dimettersi non prima della metà del prossimo mese, subito dopo la conclusione formale del semestre italiano di guida dell’Unione Europea.
Dalle parole e dagli atteggiamenti odierni del Premier traspariva un sentimento innegabile e malcelato di paura: è ovvio che, come è successo già in passato, molto probabilmente anche stavolta può mettersi in moto quel meccanismo di franchi tiratori, teso a far saltare un'alleanza stipulata nelle segrete stanze.
Facendo la conta dei grandi elettori, la situazione dovrebbe essere questa: nel PD, la minoranza capeggiata da Civati e da Fassina non dovrebbe dare il suo contributo per eleggere il candidato renziano, dal momento che, sulla battaglia per il Quirinale, il Governo in carica si gioca buona parte del suo futuro politico ed è in palio la credibilità stessa del Presidente del Consiglio, il quale - finora - ha dimostrato di avere forza parlamentare, solo quando il suo Dicastero impone il voto di fiducia, ma si sa bene che l’inquilino del Quirinale non può essere eletto attraverso il ricorso a quel meccanismo, che limita moltissimo la libertà di coscienza del deputato.
Finanche, nella stessa Forza Italia, le acque non sono meno agitate: la minoranza di Fitto non dovrebbe sostenere il candidato individuato dal Patto del Nazareno, per cui i numeri per eleggere il Presidente della Repubblica, nelle prime tre votazioni, con la maggioranza qualificata, non ci saranno, ragionandovi ora a bocce ferme, come si dice in gergo.
Ma, i numeri necessari per eleggere il Capo dello Stato potrebbero mancare, anche, in occasione delle votazioni successive alla terza, quando - secondo la norma vigente - basterà la maggioranza semplice dei grandi elettori per individuare il Presidente della Repubblica.
Infatti, non è dato sapere quanti franchi tiratori ci saranno fra i deputati ed i senatori, che - fino ad ora - non hanno manifestato alcuna forma di disagio verso le posizioni di Renzi, nel PD, o verso quelle di Berlusconi, dentro Forza Italia.
È immaginabile che i malumori ci siano e non siano irrilevanti, dal momento che l’elezione di un Capo dello Stato, vicino alle posizioni del Premier, accelererebbe notevolmente il processo di riforma costituzionale, per cui, nel 2016, potrebbe scomparire il Senato.
A tal riguardo, ipotizziamo che i Senatori, eletti nel corso delle elezioni politiche del 2013, non abbiano alcuna intenzione di lasciare lo scranno a chi sarà nominato dai Consigli Regionali, senza passare attraverso il vaglio di un voto popolare.
Di qui, la paura di Renzi, il quale, fra gli altri, ha citato un caso esemplare: quello del 1992, quando la maggioranza di Governo di allora - composta da Dc e Psi, fondamentalmente - per circa venti votazioni non riusci ad eleggere Forlani al Quirinale, che era il Segretario Nazionale democristiano, per cui, solo dopo le bombe della mafia di Capaci ai danni di Falcone, il Parlamento cambiò nome e fu eletto Oscar Luigi Scalfaro con una maggioranza del tutto diversa da quella che sosteneva l’Esecutivo in carica.
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Egli venne eletto con i voti determinanti del PDS, che rientrò, così, nei giochi per effetto dei fatti di cronaca palermitani, che colpirono molto la pubblica opinione e delegittimarono, ulteriormente, Forlani, Craxi ed Andreotti, che – agli occhi del popolo italiano – apparvero come i nemici del Bene comune e della legalità, da abbattere quindi per via politica, così come poi avvenne effettivamente, in occasione delle successive elezioni generali del 1994, dopo due anni consecutivi di stillicidio, causati dagli sviluppi delle indagini dei giudici di Milano in relazione al famoso filone giudiziario di Tangentopoli.
Come si dice a Napoli, dove l’attenzione alla smorfia è sempre altissima, la paura fa novanta, che è, appunto, il numero che contraddistingue, per coloro che credono alla cabala partenopea, quel sentimento per nulla piacevole.
Nel caso di Renzi, la paura è associabile ad un cifra ben inferiore a novanta, dato cha già una cinquantina di defezioni sarebbero più che sufficienti per far saltare l’intesa PD-Forza Italia.
Pertanto, le sue parole odierne, tese a negare eventuali conseguenze ai danni dell’Esecutivo da un possibile fallimento del Nazareno in materia quirinalizia, ci appaiono solo di mera circostanza: l’esempio, da lui stesso fatto, inerente ai fatti del 1992, dice esattamente il contrario, visto che, in quel caso, non solo saltò l’elezione di Forlani al Quirinale, ma di conseguenza vennero meno i numeri per eleggere Craxi a Palazzo Chigi e, soprattutto, crollò un’alleanza più che decennale, fra la DC ed il PSI, che invero era molto più salda di un’intesa informale, quale può essere quella che hanno sottoscritto Renzi e Berlusconi nelle, ormai famigerate e segrete, stanze del Palazzo del Nazareno.
Renzi, quindi, teme di fare la medesima fine di Craxi e Berlusconi quella, forse, di Forlani?
I timori sono forti ed, in verità, credibili, perché l’anno, appena trascorso, ha prodotto molte inimicizie per il Presidente del Consiglio, che – crediamo – verranno fuori in occasione delle elezioni per il Capo dello Stato, quando il peso specifico di ogni voto, espresso in direzione opposta rispetto a quella dell’indicazione del Segretario Nazionale del PD, è terribilmente alto.
Se Renzi non ne è a conoscenza, può chiedere informazioni direttamente a Bersani, che - due anni fa - perse il Governo per la sua manifesta incapacità di far eleggere, prima, Marini e, poi, Romano Prodi.
D’altronde, si disse da più parti che i parlamentari renziani non seguirono l’indicazione di voto data da Bersani, per cui essi sarebbero da annoverare fra i famosi cento ed uno franchi tiratori, che portarono alla riconferma coatta di Napolitano.
Forse, c’è qualcuno, fra i leaders del PD, che vuole togliersi il classico sassolino dalla scarpa?
Se c’è qualche conto da regolare, questo - forse - è il momento più opportuno per farlo?
Al posto di Renzi, invero, cercheremmo di fare chiarezza sin da ora, per evitare di riprodurre un copione già visto; peraltro, se Berlusconi non ha più nulla da perdere, egli - invece - sarebbe la principale vittima di un’eventuale azione di sabotaggio dell’accordo con Forza Italia, dato che perdere il Premierato, a causa dell’elezione di un Capo dello Stato diverso da quello immaginato, sarebbe la più grande sconfessione dell’ultimo anno vissuto, coraggiosamente, a cavallo fra il Nazareno e Palazzo Chigi.
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