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venerdì, 24 luglio 2015 10:58 |
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Rosario Pesce
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Con l’uscita di scena di Vendola, anche per effetto del rinvio a giudizio nella vicenda Ilva di Taranto, si chiude una pagina importante della storia della Sinistra italiana.
Infatti, l’ex-Governatore della Puglia, per oltre dieci anni, dopo aver assunto la guida di quello schieramento, ha rappresentato a livello nazionale un’area, che ora si trova in una condizione di grave disagio.
Nonostante l’emorragia di voti, che subisce il PD renziano, sempre più caratterizzato come partito neo-centrista, gli elettori più marcatamente progressisti non votano per Sel, ma scelgono l’astensione o danno la loro preferenza al M5S, per cui il partito, creato da Vendola, non è stato in grado mai di andare oltre la soglia fatidica del 3%, sia quando era alleato del Partito Democratico a guida bersaniana, sia nel corso dell’ultimo bienno, dopo lo strappo maturato prima con Letta e, poi, più vistosamente con Renzi.
È lapalissiano che un siffatto dato elettorale è bugiardo: è impensabile che, dalla tradizione del Partito Comunista e da quella più operaista del PSI, oggi sia in grado di derivare una formazione che ha, finanche, difficoltà a raggiungere e superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento.
Peraltro, nel Paese, per effetto della crisi, c’è una domanda forte di idee e valori di Sinistra, per cui è opportuno che gli attuali dirigenti del movimento ex-vendoliano ragionino intorno alle cause, che li hanno portati ad essere quasi irrilevanti nello schieramento parlamentare, pur in presenza di un’evidente e crescente richiesta di un movimento che si caratterizzasse per lotte, che si ponessero in continuità con la migliore tradizione politica italiana.
Forse, la leadership è un limite vistoso per la crescita di un siffatto partito?
Spentasi progressivamente la guida vendoliana, non si ipotizza chi possa prendere il timone di una barca, che molto lentamente riesce a navigare fra i flutti tempestosi della dinamica politica attuale.
Forse, Civati, appena uscito dal PD renziano?
Forse, Fassina, che ha fatto un percorso analogo a quello del suo ex-compagno di partito, pur con una tempistica, una coerenza ed una linearità diverse?
Forse, qualche dirigente pugliese, cresciuto in questi anni accanto a Vendola, come Fratoianni?
Forse, Scotto, l’attuale capogruppo parlamentare?
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È evidente che, nell’odierna fase storica, è impensabile una forza, che si proponga di conseguire un consenso accettabile, priva di una leadership popolare e trainante in termini elettorali.
È, anche, vero che i destinatari del consenso sono, per lo più, coloro che amministrano Regioni o grandissime città, per cui un partito, come Sel, che non vanta Sindaci o Governatori di peso, ineluttabilmente incontra difficoltà nella sua crescita elettorale.
Colui che, in tale prospettiva, poteva candidarsi alla leadership di Sel o, comunque, del partito che da questa nascerà, è l’attuale primo cittadino di Milano, Pisapia, in virtù della sua credibilità sul piano amministrativo e della sua riconosciuta onestà, intellettuale e morale.
Ma, il percorso politico non sembra essere la prospettiva gradita dal Sindaco meneghino, per cui, in assenza di altri nomi, almeno possibili sul piano teorico, non si può non auspicare che il processo di scrematura si ampli e che, nell’arco di sei mesi, si giunga all’individuazione di un nome condiviso da tutti, visto che permane sempre la tendenza, tipica della Sinistra italiana, alla scissione dell’atomo, finanche in momenti storici difficili, come quello in cui stiamo vivendo, nel corso dei quali bisognerebbe essere uniti per combattere tanto gli avversari del Centro-Sinistra, quanto quelli del Centro-Destra.
L’alternativa deprimente è dietro l’angolo: la rinuncia manifesta a costruire un nuovo soggetto, che abbia un seguito elettorale degno di tal nome, e la confluenza coatta nel M5S - almeno - degli elettori, che, in assenza di dirigenti all’altezza, non possono che rivolgersi a chi, meglio di altri, è in grado di interpretare la loro domanda di giustizia sociale e di difesa dello stato sociale, per quel po’ che è, tuttora, possibile in epoca di liberismo dominante.
Marx, quindi, può morire, all’alba del XXI secolo, per mano di Grillo?
Agli uomini della Sinistra odierna trasferiamo il quesito, ben sapendo che, se decadrà l’organizzazione partitica, certo non si spegnerà mai l’idea, che dovrebbe esserne alla base.
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