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domenica, 05 luglio 2015 11:38 |
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Rosario Pesce
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Il referendum odierno in Grecia è importante non solo per i destini del Paese ellenico, visto che quella popolazione deciderà, in virtù del voto di oggi, se sottostare alle condizioni imposte dalla Germania o se rinegoziare il debito, partendo da una posizione di forza e, comunque, diversa da quella attuale.
Se, infatti, dovessero vincere i “No”, non solamente la Grecia potrebbe chiedere agli organismi comunitari di modificare, notevolmente, la propria situazione debitoria ed il conseguente piano di rientro, ma molti altri Stati, fra i quali il nostro, avrebbero modo di rialzare la testa e di mettere fine ad una fase storica, che ormai si sta prolungando da troppo tempo.
È evidente che l’unificazione monetaria dell’Europa è partita da un presupposto sbagliato: la mancanza di un’effettiva unità politica, per cui il nuovo continente, venuto a prospettarsi dopo la caduta del Muro di Berlino, sembra sempre più l’ameno orticello tedesco, per effetto dell’indubbio strapotere economico che la Germania vanta rispetto alle altre nazioni, finanche nei confronti della stessa Francia, che appare - anche a causa di una classe dirigente inadeguata - il primo vassallo del signore feudale tedesco.
L’Italia e l’intera area del Mediterraneo, in un siffatto contesto geo-politico, contano poco o quasi niente, visto che l’asse decisionale si è spostato, ormai, in modo pronunciato verso Nord, con il nascente protagonismo di quei Paesi ex-comunisti, che, rientrati nella sfera di influenza del capitalismo tedesco, percepiscono la possibilità di divenire - a breve - la punta più avanzata dell’economia europea, grazie ai bassissimi tassi demografici, che li rendono competitivi sul mercato internazionale.
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In un tale milieu, la geografia politica dell’U.E. appare, evidentemente, sbilanciata: i Paesi, come la Grecia e l’Italia, che sono stati la culla della civiltà occidentale, versano sempre più in una condizione di effettivo disagio, mentre le nazioni, che hanno una storia di crescita civile assai più recente, diventano le protagoniste di uno sviluppo che lascia, purtroppo, moltissime vittime sul proprio percorso.
È giusto, quindi, che un segnale venga dato: il referendum odierno rappresenterà, in caso di vittoria del “No”, il primo avvertimento importante per la Germania, che dovrà immaginare di costruire le condizioni per un governo politico, prima ancora che finanziario, dell’Europa. Ci sono le premesse perché la guida dell’UE diventi, effettivamente, collegiale?
Le variabili, che possono illuminarci in merito ad una tale domanda, sono tante in verità, ma in particolare interessante è quella che fa riferimento all’autorevolezza delle classi dirigenti dei Paesi del Sud-Europa.
Se si guarda la foto dei Capi di Governo o di Stato dei primi anni Ottanta di Francia, Italia e Spagna, si scoprono rispettivamente tre statisti di assoluto spessore internazionale: Mitterand, Craxi e Gonzales, che erano capaci di interloquire da una posizione paritaria sia con la Germania, che con gli Stati Uniti d’America.
Oggi, ripetendo quello scatto, si scoprono invece ceti dirigenti ben meno autorevoli a livello europeo, visto che la rottamazione del recente passato ha creato una condizione di vuoto, che certo non può essere colmata a stretto giro di posta, tanto più quando il nuovo che avanza appare sinonimo dell’irrilevante e dell’ovvio.
Non a caso, in siffatta cornice, Tsipras, che vanta l’unico merito, finora, di aver chiamato in causa il suo popolo per decidere sulle condizioni, che gli dettava l’Europa della Merkel, rischia di apparire un gigante rispetto ai nani ed alle ballerine, che si agitano sul palcoscenico della diplomazia internazionale, indipendentemente finanche dall’esito che il referendum stesso dovesse far registrare.
Pertanto, sarebbe opportuno che gli elettori dell’Europa più debole ed indifesa sul piano finanziario imprimano una svolta molto seria nei prossimi due anni, quando si rinnoverà il Parlamento di molti di quegli Stati, che oggi siedono - al tavolo dell’UE - in evidenti condizioni di difficoltà rispetto al potente e temibile alleato tedesco.
Forse, un campanello d’allarme può suonare, anche, per Renzi, che fin troppo frettolosamente ha preso le distanze da Tsipras, preferendo costruire un rapporto privilegiato con la Merkel, che – ad oggi – non ha arrecato nessun vantaggio concreto all’Italia sulle questioni – come la fissazione delle quote per l’accoglienza degli immigrati nord-africani – che interessano il nostro Paese più direttamente?
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