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L’Europa è solo un'espressione geografica?

domenica, 14 giugno 2015 09:00

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Rosario Pesce
I fatti di questi ultimi giorni, in tema di controllo e gestione dei flussi migratori, configurano, invero, il fallimento dell’Europa.
L’Italia, ormai sempre più debole nello scacchiere continentale, è stata lasciata sola nell’affrontare l’emergenza rappresentata dall’arrivo di centinaia di migliaia di persone che, assai giustamente, chiedono asilo, dal momento che provengono da regioni del mondo dove non esistono le condizioni minime per la sopravvivenza, sia per ragioni politiche, che economiche.
Naturalmente, gli ultimi eventi segnano, di fatto, anche il fallimento dell’Italia, che, non sempre per motivazioni onorevoli, si è offerta nella realizzazione di politiche dell’accoglienza, che talora sono state ispirate da cause non nobilissime.
È ovvio che, ad esempio, le molte inchieste penali intorno alla gestione - non sempre corretta - dei Centri di Accoglienza abbia contribuito a definire un’immagine del nostro Paese non commendevole, visto che sono emersi fatti di corruzione e di concussione, finanche, nell’articolazione di un momento, che dovrebbe essere - invece - autenticamente improntato alla solidarietà ed alla difesa dei valori umani più elementari.
Frattanto, un quesito non può essere eluso: come si può uscire dall’emergenza, costituita dai moltissimi immigrati, che, assiepati nelle stazioni delle grandi città del Nord, aspettano l’autorizzazione dall’Europa per lasciare l’Italia e per raggiungere, quindi, le mete del loro viaggio?
La sospensione di Schengen e, dunque, del principio della libera circolazione degli individui all’interno dell’Unione rappresenta un fatto gravissimo, perché non solo mette l’Italia in una condizione non facilmente sostenibile, ma soprattutto in quanto è un precedente, che può segnare un momento di non ritorno nel pur difficile processo di integrazione europea.
È pleonastico sottolineare che l’Italia, ormai da un anno, è stata abbandonata al suo tragico destino, per cui, lasciata in condizione di solitudine nel fronteggiare un’emergenza epocale, essa di fatto ha mostrato non solamente la propria gracilità sul piano delle relazioni internazionali, ma soprattutto ha rimarcato l’assenza di una vera ed autentica concertazione fra i Paesi dell’Occidente, che - altrimenti - avrebbero dovuto agire all’unisono di fronte a drammi di simile portata.
Le politiche in materia di immigrazione, oggi, costituiscono la principale sconfitta del Governo in carica; infatti, nonostante nel 2014 l’Italia abbia goduto della Presidenza dell’Unione, è superfluo sottolineare come il Premier Renzi non ha avuto la giusta forza per determinare, nel consesso continentale, un’inversione di tendenza rispetto a precedenti, che dovevano preoccupare moltissimo la nostra classe dirigente.
Era ampiamente prevedibile che, nel corso della primavera, con il miglioramento delle condizioni climatiche, sarebbero sbarcati lungo le nostre coste centinaia di migliaia di profughi, che, giunti alle porte dell’Italia, avrebbero chiesto asilo, salvo poi continuare il loro viaggio verso l’Europa del Nord, che è più ricca ed opulenta del nostro Paese. Cosa fare, quindi, per gestire al meglio un simile arrivo di disperati, che non si può non accogliere e curare?
Il principio delle quote, in virtù del quale ogni nazione europea avrebbe dovuto farsi carico materialmente delle prime cure di tanti immigrati, non è stato mai ratificato dagli organismi politici dell’U.E., per cui l’Italia, a fronte di notevoli finanziamenti ricevuti, si è trovata a dover costruire una rete virtuosa di servizi, che evidentemente non erano già stratificati, né sono di facile realizzazione nell’arco di un tempo brevissimo.
La corruzione, tipica purtroppo della nostra nazione, ha poi contribuito in maniera rilevante ad indebolire il tessuto civile ed il livello di gradimento, da parte della pubblica opinione nazionale, delle politiche di accoglienza, che sono sempre più viste – non a torto, talora – come la mera occasione di guadagni importanti ad opera delle organizzazioni criminali e di politici di dubbia moralità, che sull’immigrazione realizzano profitti, che neanche il commercio della droga o la gestione della prostituzione possono indurre con altrettanta copiosità e scarsità di costi.
Certo è che, a questo punto, bisogna correggere il tiro e rendere praticabile ciò che, altrimenti, non sarà più gestibile: sarebbe opportuno che il Governo imponga una seria riflessione in ambito U.E. in materia di immigrazione, così come sarebbe giusto che i grandi mezzi di comunicazione di massa diano avvio, finalmente, alla costruzione di un sentimento comune di solidarietà, che eviti - sin dal suo nascere - la guerra fra poveri.
Saremo capaci, orbene, di vincere l’ennesima scommessa o l’Italia pagherà un prezzo altissimo sull’altare di un’unità europea, che mai si è consumata in termini né politici, né morali?
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