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domenica, 26 aprile 2015 23:17 |
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Rosario Pesce
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Le commemorazioni, cui abbiamo assistito ieri, hanno registrato una componente anomala rispetto a quelle degli anni immediatamente precedenti; infatti, mai come questa volta, il 25 Aprile è stato, particolarmente, sentito da molto settori della pubblica opinione, oltreché dai sindacati e dalle forze politiche della Sinistra estrema.
Dal momento che una simile commemorazione, ineluttabilmente, si coniuga con i temi del dibattito corrente, si evidenzia il fatto che il Governo in carica, in particolare, sia stato il destinatario di molte critiche, che - pur non riguardandolo, esplicitamente, in merito ai festeggiamenti - lo chiamano direttamente in causa.
Infatti, per la prima volta, le formazioni, che sostengono il Dicastero odierno, palesano atteggiamenti molto diversi fra loro, per cui, tuttora, ci si interroga su cosa abbiano in comune partiti - come il PD ed il Nuovo Centro Destra - che dovrebbero appartenere legittimamente, in un sistema istituzionale funzionante, a schieramenti opposti ed alternativi gli uni agli altri.
Peraltro, nei mesi scorsi, abbiamo assistito ad un’accesa dialettica interna al PD, che potrebbe portare quella formazione, finanche, ad implodere nelle settimane prossime, perché è, ormai, certo che una parte del Partito Democratico sia, oggi, l’antagonista essenziale del Presidente del Consiglio.
Infatti, le polemiche, intorno al varo della legge elettorale, tenderanno ad accentuare sempre più le differenze fra due aree del medesimo partito, che poco o nulla hanno in comune, se non la provvisoria appartenenza allo stesso gruppo parlamentare.
La vicenda, che si svilupperà a maggio alla Camera, nasconde moltissime insidie per il Governo, che, se riuscirà a far approvare l’Italicum nella versione varata dal Senato, sarà di fatto il padrone dei giochi istituzionali, ma, in caso di scivolone, è molto probabile che il Premier debba poi trarre le conseguenze, dimettendosi e rimettendo, quindi, il suo incarico nelle mani del Presidente della Repubblica.
Peraltro, le eventuali dimissioni di Renzi non sarebbero, solamente, il frutto di un agguato parlamentare ad opera di una minoranza riottosa e disobbediente, ma sarebbe l’esito di un lungo processo, iniziato nel maggio scorso, a seguito del quale il Presidente del Consiglio, in modo sistematico, ha rotto i ponti con quella parte della pubblica opinione nazionale, che dovrebbe - invece - sostenere un Gabinetto di Centro-Sinistra.
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Dapprima, la forzatura sul Jobs Act; poi la scelta di condurre, comunque, in porto il disegno di legge sulla “Buona Scuola”, nonostante il dissenso manifesto di moltissimi settori della Pubblica Istruzione; infine, la decisione scellerata di procedere all’approvazione dell’Italicum, pur in assenza di un accordo interno allo stesso PD, sono tutti fatti che, nel mese che verrà, potrebbero indurre a dimissioni, che erano impensabili solamente sei mesi fa, quando il Governo era, ancora, amato dalla maggioranza degli Italiani.
Per tutti questi motivi, la Festa della Liberazione del 2015 ha acquisito una connotazione particolare, per cui ci ha ricordato la commemorazione della stessa ricorrenza, che si celebrò nel 1994, quando gli Italiani si accorsero della presenza di Berlusconi al Governo.
Allora, la parte del Paese, che non voleva morire berlusconiana, si attivò per far cadere il Cavaliere, il quale – di lì a poco – sarebbe stato costretto a lasciare Palazzo Chigi a causa delle rotture interne allo schieramento di Centro-Destra.
Accadrà, ora, la medesima cosa con Renzi, per cui la celebrazione di una ricorrenza, tradizionalmente cara all’identità culturale di Sinistra del nostro Paese, si trasformerà nella premessa per il congedo di un Governo, che non è, comunque, legittimato dal voto popolare?
D’altronde, a fine maggio, si celebreranno le elezioni regionali, che saranno un test di fondamentale importanza, per verificare la tenuta del Dicastero attuale.
Infatti, in alcune delle regioni, dove si andrà al voto, Renzi ha compiuto delle scelte ampiamente discutibili, che, se si dimostreranno infelici, saranno evidentemente addebitate per intero al Presidente del Consiglio, il quale non potrà non pagare fio per aver dato il suo placet ad orientamenti, che potevano essere, ampiamente, diversi.
D’Alema, nel 2000, perse la Presidenza del Consiglio dopo la sconfitta in occasione delle elezioni regionali, visto che egli si impegnò, direttamente, in quella vicenda elettorale; Renzi, pur tenendosi lontano dalle realtà, dove si andrà al voto, sarà ritenuto - nel bene o nel male - l’unico responsabile di comportamenti da parte delle Federazioni locali, che – per usare un eufemismo – appaiono, a tutt’oggi, molto opinabili.
Come si concluderà, quindi, il passaggio politico-istituzionale, a cui ci stiamo approssimando?
Non potremo che attendere gli sviluppi futuri, sapendo bene che l’Italia, talora, segue dinamiche prevedibili, ma a volte può riservare delle sorprese, che sono di difficile lettura anticipata, anche, da parte dei protagonisti diretti.
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