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domenica, 29 novembre 2020 07:30 |
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Maradona, capitano del Napoli, solleva la Supercoppa italiana 1990 - (https://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Armando_Maradona#/media/File:Diego_Armando_Maradona_(SSC_Napoli)_-_Supercoppa_italiana_1990.jpg)
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Rosario Pesce
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La morte di Maradona è stata, certamente, la notizia predominante della settimana appena conclusa.
Il campione argentino, tanto osannato quanto osteggiato in vita, è stato un punto di riferimento per milioni di sportivi, che si sono identificati in lui, anche ben oltre la mera dimensione del tifo calcistico.
È stato, invero, un simbolo per moltissimi: il simbolo dei Sud del mondo, il simbolo dei diseredati che conquistano la notorietà per indubbi meriti e talenti.
Come tutti i simboli, però nei suoi confronti si è dipanata una macchina del fango, tesa a sporcarne l’immagine, ed il povero Maradona è diventato vittima di se stesso, oltreché del suo essere “contro” ad ogni costo.
Certo, i suoi limiti si conoscevano molto bene: la dipendenza dalle droghe non era un fatto nuovo, nato a Napoli.
D’altronde, il Barcellona lo aveva venduto ai partenopei proprio in virtù della sua ingestibilità al di fuori del campo da gioco.
Peraltro, era ineluttabile che un giovane calciatore, diventato in brevissimo tempo l’idolo di milioni di sportivi, dopo essere cresciuto in uno dei ghetti più poveri del Sud-America, potesse subire degli sbandamenti, dimostrandosi incapace di gestire la nuova dimensione.
E, così, Maradona è divenuto un personaggio ancipite, in grado di sintetizzare il sommo bene, ma anche il male più profondo nella propria effigie: ad un tempo, è diventato il calciatore da solo in grado di vincere competizioni mondiali, ma anche il tossicodipendente che non ha avuto la forza di rompere il cordone ombelicale con i criminali che lo hanno accompagnato nella sua esistenza terrena, sia a Napoli che in Argentina.
Ma, ora che Maradona non c’è più, tutti – sia quelli che hanno finto di amarlo ed osannarlo, sia quelli che lo hanno osteggiato – dovrebbero tacere davanti al mistero della morte.
Maradona è stato un campione unico, ma un uomo fragilissimo.
Quanti artisti e personaggi famosi del mondo dello spettacolo hanno vissuto il medesimo dramma del campione argentino?
Di Maradona se ne parlerà ancora, perché, più degli altri, ha rappresentato agli occhi della persona comune la proiezione propria, il simbolo stesso dell’ascesa dalla povertà assoluta alla ricchezza ed al potere sfrenato.
Più rispetto merita, quindi, la figura di Maradona, perché la parabola della sua vita è la rappresentazione più fedele di ciò che può succedere in sorte a chi vive la condizione dell’essere umano.
Maradona è stato un dio pagano e, come tutti gli eroi del mondo greco, ha vissuto ed ha fatto propria la morale della tragedia; finanche in questo è stato diverso da chi, invece, conosce solo la dimensione della farsa.
Napoli e l’Argentina non lo dimenticheranno mai.
Con la sua morte si è chiuso, definitivamente, il secolo ed il millennio scorso.
Buon viaggio, Diego, verso un mondo dove il tragico si condensa nel Sublime.
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