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sabato, 14 marzo 2015 08:09 |
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Segretario della Cei mons. Nunzio Galantino
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Rosario Pesce
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La sentenza, che ha mandato assolto, definitivamente, Berlusconi in merito al caso Ruby, non può non far pensare gli Italiani, sia quelli che hanno sempre simpatizzato con il Cavaliere, sia quelli che lo hanno avversato, sin dal primo giorno della sua discesa in campo, ormai nel lontanissimo 1994.
Infatti, i termini della questione sono evidenti: stando alla sentenza, la prostituzione sarebbe effettivamente esistita in occasione delle cene ad Arcore, ma essa non è punibile, in quanto Berlusconi non avrebbe saputo della minore età della sua presunta partner.
La sentenza, invero, farà discutere per anni, ma a noi non interessa - in tale sede - ripetere il processo, che si è concluso con il verdetto della Cassazione: ci preme, piuttosto, fare una riflessione sul rapporto fra morale e diritto e sulle conseguenze di determinati comportamenti, che si ripercuotono sulla dinamica politica di un Paese - certo - non più bigotto, come il nostro.
I fatti, consumati da Berlusconi, non costituiscono reato né per la Corte d’Appello, né per la Corte di Cassazione, ma sono - da un punto di vista strettamente etico - licenziosi e, quindi, come tali, meritevoli di una severa reprimenda da parte di chi – laico o cattolico – crede nei principi della morale, largamente, condivisa dall’intero Occidente da millenni.
Orbene, dato che Berlusconi è un personaggio pubblico, che per venti anni ha, continuamente, richiesto ed ottenuto il consenso ampio degli Italiani, divenendo protagonista di rango assoluto della vicenda politica, quale dei due profili deve prevalere nella valutazione dei fatti a lui addebitati: quello giuridico, che lo ha mandato assolto, o quello morale, che lo condanna, senza possibilità alcuna di mediazione?
Riteniamo, in verità, che una persona, che intenda rappresentare il suo Paese all’estero e che abbia ambizioni di carriera, dovrebbe avere una biografia adamantina, per cui nessun addebito, seppur minimo, deve essere possibile contro di lui, allo scopo di salvaguardare - con la sua immagine - quella della nazione, che si identifica in lui.
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Non è un caso, se la Conferenza Episcopale Italiana ha giudicato, in modo molto rigoroso, il verdetto della Cassazione, affermando che, dinnanzi alla Giustizia divina ed ai giudici terreni ed inflessibili della morale cristiana, l’assoluzione dell’altro ieri non può essere presa in considerazione, perché un cavillo legale non può cancellare un peccato gravissimo per un privato cittadino, a maggior ragione viepiù deprecabile, se lo mette in essere un personaggio che, con i propri comportamenti, fa scuola di fronte alla pubblica opinione nazionale, che guarda a lui come un punto di riferimento infungibile per il presente e per il futuro dei propri figli.
Non vogliamo essere moralisti in senso ipocrita, ma in verità il giudizio del massimo organo dei Vescovi italiani non può non essere, anche, il nostro: una sentenza risponde a canoni desunti direttamente dal Codice Penale, ma non è in linea – come nel caso di specie – con il prototipo di moralità a cui noi, fermamente, ci ispiriamo. Il danaro non può essere utile per comprare l’amore, così come non può essere utilizzato per acquisire consenso: l’assoluzione di Berlusconi, in termini educativi, rappresenta una pessima pagina per un Paese, dove le persone meno avvedute, dopo un simile fatto, saranno sempre più convinte che chi detiene una posizione di potere può permettersi qualsiasi cosa, per cui per il cittadino non illustre diviene essenziale acquisire, con ogni mezzo, un vantaggio economico e sociale, da cui poter far discendere altri privilegi, sovente al limite con la legalità, oltreché con il senso comune.
Purtroppo, la sentenza della Cassazione - per quanto sia impeccabile in termini giuridici, dato che mancava per la condanna dell’imputato la prova del fatto che il Cavaliere conoscesse l’età effettiva di Ruby - costituirà un precedente importante per quanti crederanno che la morale può essere calpestata con relativa facilità, se i cavilli tecnico-giuridici consentono, poi, di non pagare dazio in termini penali.
L'Italia, forse, sarà migliore o peggiore nei prossimi decenni, alla luce dei fatti odierni?
Temiamo, purtroppo, che possa solo peggiorare, anche perché è venuto meno il sentimento di attaccamento morboso al Bene comune, prevalendo sempre più spinte individualistiche ed egoistiche, che non fanno altro che danneggiare una nazione tanto debole, quanto esposta ai rischi di un deprecabile imbarbarimento civile, oltreché istituzionale.
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