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domenica, 19 luglio 2020 11:12 |
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Rosario Pesce
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A ventotto anni dalla strage di Paolo Borsellino non si può non ricordare il sacrificio del giudice siciliano e, prima ancora, quello del suo collega Falcone, morto per mano mafiosa due mesi prima in quella caldissima estate del 1992, che ha cambiato le sorti della Prima Repubblica.
Nel giro di meno di sessanta giorni, la mafia quindi eliminò i due giudici che si erano esposti maggiormente nel gravoso compito di individuare i vertici politico-criminali delle organizzazioni malavitose, in un momento storico peraltro assai delicato, visto che i partiti al Governo venivano messi – in quelle stesse settimane – sotto inchiesta per i reati di Tangentopoli dalla Procura di Milano e veniva eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro in modo sorprendente, dal momento che i favoriti per l’ascesa al Quirinale erano Andreotti e Forlani, espressioni massime del doroteismo democristiano che aveva governato il Paese con Craxi negli anni Ottanta.
Da quel 19 luglio 1992 in poi molte cose sono successe.
I vertici mafiosi, responsabili delle stragi di Capaci e di Palermo, sono stati messi in carcere; i partiti, che avevano governato il Paese per l’intero Secondo Dopoguerra, furono spazzati via dall’onda di risentimento popolare delle inchieste penali delle varie Procure; si crearono i presupposti, dunque, per la cosiddetta Seconda Repubblica, che però neanche ha visto la soluzione delle problematiche economiche del Paese e finanziarie dello Stato, che sono tuttora presenti in maniera rilevante.
La morte di Borsellino, quindi, fu uno spartiacque, in particolare per la pubblica opinione che aveva individuato nel giudice siciliano l’erede che avrebbe potuto portare a termine le indagini - da una posizione di vertice nella magistratura italiana - che Falcone aveva lasciato a causa del suo assassinio.
Per questo motivo, la morte di Borsellino colpì ancora più di quella di Falcone: sembrava la resa definitiva dello Stato di diritto alle prepotenze dei poteri criminali.
Così, fortunatamente non è stato.
I responsabili di quegli eccidi sono stati assicurati alla detenzione carceraria.
Certo, la crisi politica, scoppiata in quei mesi di stragi e di indagini, non si è mai risolta.
La sostituzione del ceto politico dirigente non è, di fatto, mai avvenuta: tuttora, si ricercano nuove soluzioni e differenti leadership, che – se emergono – appaiono fin troppo deboli e transeunti.
Anche per questo motivo, non si può che apprezzare ulteriormente il sacrificio di chi, per la propria grande professionalità, è diventato il modello dell’Italia perbene, essendo un punto di riferimento per quanti hanno chiaro il concetto di tutela del principale bene pubblico, la legalità.
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