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Regioni o Comuni?

domenica, 01 settembre 2019 13:25

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Rosario Pesce
Il tema dell’autonomia è, certamente, uno dei più importanti per il Governo che sta per nascere nelle prossime ore.
Infatti, in Parlamento si dovrà discutere della proposta autonomistica, che alcune Regioni del Nord (Emilia, Lombardia, Veneto) insieme alla Campania hanno sposato e su cui ci fu un’ipotesi di primo accordo con il Governo Gentiloni, nella scorsa legislatura.
È questo il vero aspetto problematico, perché un’eventuale introduzione dell’autonomia differenziata nel nostro ordinamento costituzionale effettivamente porterebbe elementi molto forti di federalismo, che peraltro andrebbero a fotografare ed a cristallizzare l’odierna situazione di gap fra una parte del Paese e l’altra, visto che le risorse sarebbero divise in base al principio della spesa storica, che ovviamente avvantaggia il Nord a discapito del Sud, tradizionalmente meno virtuoso nell’investimento delle risorse stanziate dallo Stato centrale.
Ed, allora, alla ben nota disputa fra autonomisti e centralisti, se ne aggiunge un’altra, che – come si dice in gergo – rischia di far saltare il banco.
Il sindaco di Milano Sala, che è uno degli esponenti più autorevoli del Centro-Sinistra, già nei giorni scorsi e viepiù in queste ore, introduce un elemento di riflessione: l’autonomia va data, ma deve partire dai Comuni e non dalle Regioni, che ormai sono divenute dei veri e propri Stati.
L’idea di Sala è molto semplice ed apparentemente seducente: la classe dirigente dei Comuni risponde per lo più ai partiti che comporranno il prossimo Governo (PD e M5S); il Comune, per sua definizione, è l’Ente di prossimità che eroga i servizi più importanti alle comunità ed alle singole persone; infine, il Comune è la vera espressione del federalismo, mentre le Regioni sono dei carrozzoni che, nelle loro dimensioni da antiche Signorie, riproducono i vizi degli Stati centrali.
È giusta l’analisi del Sindaco della città più importante del Paese in termini economici?
Non dobbiamo, invero, dimenticare che, durante gli anni della Seconda Repubblica, i veri centri della spesa pubblica sono stati i Comuni, visto il protagonismo dei Sindaci, eletti con il nuovo metodo dell’elezione diretta e, quindi, investiti di un’autorità che i loro colleghi di prima non avevano.
Molti di quei Comuni, poi, per effetto della spesa fuori controllo si sono trovati in notevole difficoltà, per cui molti di questi hanno dovuto dichiarare il dissesto finanziario, mentre altri sono stati salvati da una legge dello Stato, creata ad hoc per loro per spalmare il debito nei prossimi decenni.
Quindi, ci si domanda dove sia il virtuosismo degli Enti Locali; peraltro, il fatto che ci siano Sindaci, come lo stesso Sala, che hanno iniziato un piano di rientro della notevole esposizione finanziaria dei loro Comuni, di per sé non giustificherebbe una devolution dei poteri verso Enti, che piuttosto meriterebbero un maggiore controllo da parte degli organismi centrali, come era ai tempi della Prima Repubblica.
Quindi, ha senso contrapporre il virtuosismo presunto dei Comuni ai difetti dello Stato e delle Regioni?
Ha senso uno scontro fra potere centrale e periferia, quando né l’uno, né l’altra sono esenti da responsabilità importanti rispetto alla condizione della finanza pubblica?
Forse, anche il PD, che per anni è stato il partito dei Sindaci e dei Governatori (ed invero lo è tuttora), deve riflettere su un passaggio costituzionale, che può - per davvero - creare le condizioni di una secessione di fatto, ben più pericolosa di quella di folklore invocata dalla Lega.
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