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domenica, 12 maggio 2019 14:17 |
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Rosario Pesce
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La notizia della morte di De Michelis ci consente di fare un salto nella Prima Repubblica, cioè nel periodo più intenso di lotte politiche che ha conosciuto la nostra storia repubblicana.
Orbene, la vicenda personale del Ministro veneto è legata, indissolubilmente, alla storia del Partito Socialista craxiano, ai suoi fasti ed alla tragedia che ne conseguì, quando per effetto di Tangentopoli quella classe dirigente venne spazzata via, aprendo una fase di transizione che è, tuttora, senza esiti.
Il Partito Socialista di Craxi, De Michelis, Amato, Martelli e di tante altre personalità fu, certamente, un fattore essenziale della dinamica istituzionale fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, visto che volontà di Craxi e di quanti crebbero intorno a lui fu quella di riformare lo Stato, creando una vera alternativa nel Paese, visto che il consociativismo fra Comunisti e Democristiani, per effetto del Compromesso Storico, aveva cristallizzato una situazione che, altrimenti, non avrebbe avuto vie di uscita.
Quel tentativo fu consumato in un momento in cui il Paese e l’Europa intera uscivano dalla Guerra Fredda, visto che la caduta del Muro di Berlino aveva segnato la fine del Comunismo continentale ed, anche, di quanti in Italia, pur volendosi distinguere dai Sovietici, volevano dar vita ad una non meglio identificata Terza Via al Socialismo, che fallì miseramente con la conclusione della vicenda politica di Berlinguer.
Orbene, i Socialisti in quegli anni svolgevano una doppia funzione: forza di Governo con la DC ed, al tempo stesso, motore propulsivo per il rinnovamento in vista di un mutamento istituzionale, che avrebbe dovuto essere non meno innovativo di quello che si era consumato con il passaggio dalla Monarchia sabauda alla Repubblica.
Ma, come ben sappiamo, quel tentativo fallì quando nella primavera del 1992 iniziarono a scattare le indagini a carico di tutto il ceto politico dell’epoca, costretto poi - nel giro di due anni - ad andare in galera o, quando andò bene, a ritirarsi dalla vita pubblica.
Cosa ci rimane di quell’epoca, di cui De Michelis fu autorevole esponente?
In primis, il sogno europeo: fu lui stesso nel 1992, in qualità di Ministro degli Esteri, a firmare il Trattato di Maastricht, che ha condizionato non poco la vicenda istituzionale degli anni successivi, con la costruzione conseguente dell’Unione, che oggi - da più parti - le forze sovraniste intendono decostruire, in modo anche sbrigativo.
Certo, quella cui ha appartenuto De Michelis è stata una classe dirigente culturalmente robusta e radicata nella cultura del Novecento.
Oggi, quel vuoto si avverte in modo drammatico, ma le lancette dell’orologio non possono andare indietro.
Forse, bisognerebbe studiare in modo più approfondito la storia?
Ma, finanche tale obiettivo diviene più problematico, se si ipotizza di ridimensionare il ruolo delle discipline storiografiche nei curricoli scolastici.
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