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domenica, 07 aprile 2019 00:06 |
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Rosario Pesce
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È evidente che la richiesta di autonomia differenziata, avanzata da Emilia, Veneto e Lombardia, crea le premesse di un dibattito intenso intorno al mondo odierno della Scuola, visto che gli eventuali cambiamenti, che ne deriverebbero, sono di non secondaria importanza.
Infatti, qualora quel percorso venisse compiuto, verrebbe meno il caposaldo dell’attuale legislazione, che prevede che la Pubblica Istruzione sia materia di competenza dello Stato centrale e non delle Regioni, contrariamente invece alla formazione professionale su cui il Titolo V della Costituzione, rinnovellato nel 2001, prevede la competenza esclusiva delle Regioni.
Il sistema, quindi, dell’istruzione – così come previsto dalla norma vigente – si costruisce in base al principio dell’unitarietà dello stesso sull’intero territorio nazionale: non è un caso se, in tale materia, alle Regioni sono demandate funzioni solo di secondo livello, come la fissazione del calendario scolastico e la deliberazione della rete regionale delle istituzioni scolastiche.
Peraltro, il principio dell’unitarietà del sistema di Istruzione è premessa essenziale per la compiuta realizzazione del processo di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, così come questo venne definito dalla Legge Bassanini nel 1997 e poi, due anni dopo, dal decreto attuativo che ne conseguì, ben prima quindi della stessa riforma costituzionale del Titolo V voluta e realizzata nel 2001.
Infatti, l’odierna autonomia differenziata, reclamata dalle ricche regioni del Nord, farebbe venir meno la premessa di quell’autonomia virtuosa, che gli operatori scolastici si sforzano di implementare dal 1999 in poi.
Se non è più lo Stato che impone le leggi di ordine generale in materia di legislazione scolastica, le Scuole dovrebbero continuare a costruire la loro autonomia - didattica ed organizzativa - rispetto a cosa?
Inoltre, ben si sa che, con l’introduzione dell’autonomia, entra in gioco anche il suo alter ego, la valutazione.
Nell’attuale ordinamento, la valutazione si compie in modo ampio e diffuso: la valutazione della performance dirigenziale ad opera degli Uffici Scolastici Regionali; la valutazione dei docenti ad opera dei dirigenti; la valutazione degli apprendimenti da parte dell’Invalsi e quella delle istituzioni scolastiche ad opera dei Nuclei Esterni di Valutazione.
Orbene, in caso di autonomia differenziata, chi farebbe più la valutazione?
L’Invalsi, forse, si moltiplicherebbe per venti, per cui nascerebbe l’Invalsi lombardo distinto da quello campano o da quello emiliano?
E, poi, si innescherebbe una conseguenza fondamentale, quella forse di maggiore impatto sociale.
Con il passaggio del personale scolastico all’Amministrazione di ogni singola regione, di fatto verrebbe meno ogni possibilità di mobilità sul territorio nazionale.
Sappiamo bene come negli ultimi quarant’anni il Sud è stato terra di emigrazione di docenti e personale Ata, mentre il Nord ha ovviamente recepito tali flussi in ingresso.
Siffatta mobilità poteva compiersi perché ogni docente o amministrativo sapeva bene di poter tornare nella sua terra natìa, dopo aver conquistato l’agognato ruolo a mille chilometri da casa.
Con l’autonomia differenziata, ciò non sarebbe più possibile: il docente o l’amministrativo assunto dalla Regione Lombardia o Veneto non potrebbe più tornare al Sud, per cui – senza enfasi – si creerebbero le condizioni di una ennesima deportazione ai danni del Sud, con intelligenze costruite e formate sui nostri territori e condannate, per tutto il resto della loro vita, a dover dare sfoggio delle loro competenze in territori diversi da quelli dove sono cresciuti e sono diventati professionisti.
Quindi, i costi della formazione di tante migliaia di operatori dell’educazione li ha affrontati il Sud, mentre il beneficio della loro professionalità sarebbe a vantaggio del Nord.
Ed, infine, se il sistema scolastico nazionale ha tenuto le dinamiche della politica fuori dalla Scuola, siamo certi che l’eventuale passaggio alle Amministrazioni Regionali può garantire la medesima neutralità o, forse, la Scuola – come lo è stato, già, per la Sanità con esiti non sempre pregevoli – diventerebbe la nuova frontiera per un indiscriminato, quanto pericoloso spoil system?
Tutte queste obiezioni non possono non essere prese in considerazione, visto che un eventuale cambiamento non virtuoso potrebbe determinare conseguenze nefaste per intere generazioni di professionisti, oltreché di allievi e di famiglie, che ogni giorno interagiscono – direttamente o in forma mediata – con le istituzioni scolastiche.
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