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domenica, 17 febbraio 2019 10:27 |
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Rosario Pesce
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La Scuola italiana, sin dal 1861, è stata il vero simbolo dell’Unità nazionale.
Passando attraverso diverse riforme, si è progressivamente accentrato il sistema di governance della Pubblica Istruzione, per cui i docenti italiani sono stati, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo, il corifèo del messaggio di pacificazione e di unificazione nazionale.
Finanche l’introduzione dell’autonomia, circa venti anni fa, non ha scalfito l’unitarietà del nostro sistema scolastico, che è sostanzialmente il fattore, istituzionale e culturale, di maggiore aggregazione del Paese, visto che - invece - la Sanità è stata, da decenni, regionalizzata con esiti che sono – invero – molto discutibili, dato che le varie Regioni non sono in grado, oggi, di offrire il servizio, in tale settore, con la medesima qualità e ricchezza di opportunità per gli utenti.
Pertanto, chi, in questi mesi, si sta facendo promotore del progetto di regionalizzazione della Pubblica Istruzione, forse dimentica che il medesimo esperimento nel campo sanitario - appunto - non ha prodotto esiti pregevoli?
Peraltro, sappiamo bene come nel settore scolastico esiste una mobilità notevole, per cui tantissimi docenti ed amministrativi emigrano dal Sud verso il Nord.
A queste persone cosa diciamo?
Hanno abbandonato i loro paesi di origine, sperando di farvi rientro, mentre per effetto della regionalizzazione essi, mutando amministrazione, non potranno mai più tornare al Sud, per cui per loro una possibile mobilità si trasformerebbe in una deportazione coatta vera e propria.
Non vogliamo entrare nel merito delle riflessioni di mera tecnica costituzionale, ma è pleonastico sottolineare che un simile progetto, con la Costituzione odierna, non può entrare in vigore, a meno che non si intenda fare una forzatura a cui mai prima di ora si è assistito.
Forse, il ceto politico dovrebbe compulsare in merito una seria riflessione, prima che si compia un errore che andrebbe a danneggiare uno, forse, dei pochi settori della Pubblica Amministrazione che, ancora, produce risultati per il Paese intero: è indubbio, infatti, che le intelligenze, che escono dalla Scuola italiana, siano tra le più vivide d’Europa e che, molto spesso, siano ai vertici professionali all’interno dell’Unione.
Certo è che l’Italia deve molto alla Scuola ed a tutti gli operatori, che ogni giorno si sacrificano per conseguire risultati importanti, per cui togliere poteri e prerogative allo Stato centrale e darli alle Regioni avrebbe, in questo momento storico, il sapore di una terribile sconfitta, di cui nessuno di noi vuole essere passivo spettatore.
Forse, è proprio arrivato il momento di difendere con i mezzi del diritto e della ragione la Scuola italiana, pur nei suoi oggettivi limiti che non neghiamo, come ultimo autentico baluardo di democrazia e di libertà?
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