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Quando si innalzano i muri…

sabato, 21 luglio 2018 00:00

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Rosario Pesce
Nella nostra società, sempre più spesso si innalzano i muri dell’odio e dell’intolleranza, che tendono a rimanere in vita per lunghissimo tempo.
Il valore della fratellanza, che era cardine ai tempi della Rivoluzione Francese, come portato di una cultura laica, figlia dell’Umanesimo, è venuto meno, per cui sempre più di sovente si assiste alla guerra dell’uomo contro il suo simile in nome di bisogni, che potrebbero invece serenamente realizzarsi con una condivisione fra diversi.
È evidente che viene meno la malta della solidarietà fra gli esseri umani e la “malta”, invece, viene usata per issare delle barriere, che hanno un senso protettivo per chi, altrimenti, non si sente sereno.
È ovvio che, per tal via, il consesso umano rischia di implodere, perché la mancata condivisione di una prospettiva di vita non può che generare un’ipotesi di guerra permanente, che diviene nefasta per tutti, sia per coloro che innalzano il muro, sia per chi lo subisce.
D’altronde, la miopia rischia di essere uno dei tratti distintivi dell’epoca che viviamo: il “particulare” domina sull’universale ed il bieco interesse di parte rischia di far implodere qualsiasi sano tentativo di costruzione di una comunità.
Un tempo, ci pensavano le religioni e le ideologie a costruire solidarietà fra gli uomini, creando le premesse di una vita in comune, ma oggi, con il tramonto delle seconde e l’uso distorto delle prime, le stesse rischiano di essere adoperate per lo scopo opposto.
Ciò che, un tempo, metteva insieme, oggi invece diviene un fattore divisivo, che rimane in piedi per moltissimo tempo, per cui neanche l’estinzione di una generazione e la nascita di un’altra sono in grado di far nascere un sentimento minimo di collaborazione e di empatia fra chi vive condizioni analoghe di disagio.
Forse, l’uomo persegue, con fredda lucidità, l’obiettivo della propria estinzione?
D’altronde, tutti ricordano come iniziava il celeberrimo film “2001 Odissea nello spazio”: lo scimmione, che vive la condizione di conflitto con il suo simile, non può che essere, finanche, individuato con l’Uomo ipertecnologico del nostro tempo che, con armi diverse, non ha smarrito il sentimento innato alla guerra ed alla contrapposizione.
Ma, siamo certi che, per tal strada, sia possibile la sublimazione e non la progressiva scomparsa di chi preferisce guerreggiare, invece che dialogare con il suo vicino?
Forse, siamo esseri per la morte, nel senso che perseguiamo la violenza come fine ultimo e diabolico dell’elaborazione delle nostre intelligenze?
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