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lunedì, 16 luglio 2018 07:03 |
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Rosario Pesce
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La finale del Mondiale di calcio ha dato il suo verdetto: la Francia è campione per la seconda volta, dopo il primo successo di venti anni fa.
Non solo ha vinto una Nazionale, ma – a nostro parere – l’esito del Mondiale va ben oltre il mero aspetto tecnico-calcistico.
Ha vinto, infatti, una formazione piena di calciatori di origine non europea, provenienti per lo più dalle ex-colonie francesi.
Non è un caso, se tutti (o quasi) i calciatori, presenti in campo nel corso dell’intera competizione iridata, sono atleti di colore, che sono nati in Francia da genitori africani ovvero sono stati naturalizzati, dopo essersi trasferiti in Francia dai Paesi, per lo più, del Centro e Sud-Africa.
Ha vinto, pertanto, un modello di integrazione razziale, visto che - appunto - la Nazionale francese è multicolore.
D’altronde, sappiamo bene come l’integrazione, in Francia, abbia avuto momenti molto forti di conflitto e di contrasto: non possiamo dimenticare le numerose volte in cui le periferie parigine sono state messe a ferro e fuoco dai nuclei di extra-comunitari giunti sul suolo francese.
Ma, nonostante tali difficoltà, oggi in Francia non solo nel calcio l’elemento europeo e quello di origine africana convivono e producono insieme, finanche, ottimi risultati, come è successo nell’ambito sportivo con una vittoria così prestigiosa, come quella di un Mondiale di calcio, che è pur sempre la seconda competizione, per prestigio, dopo le Olimpiadi.
È ovvio che la storia francese non può essere copiata e trasportata altrove, come qualcuno ipotizza.
L’Italia, ad esempio, non ha mai avuto un Impero coloniale delle dimensioni e dell’importanza di quello francese o inglese o portoghese o olandese, per cui è inevitabile che l’arrivo di cittadini di colore nelle nostre città non può che determinare uno stato di paura e di ansia ben più ridondante che altrove.
Ma, è arrivato il tempo che queste paure vengano superate, perché sono contro la storia, per quanto esse possano essere diffuse e legittime, per qualche aspetto.
D’altronde, si sta costruendo una “nuova” Europa, che non può non tenere conto del fatto che non esiste alcuna frontiera fra la stessa Europa e l’Africa, per cui l’idea che il Mediterraneo possa essere il luogo in cui nasce un’area comune europea-africana non solo non deve incutere timore, ma deve finanche sollecitare entusiasmo e volontà di costruire un futuro diverso dal presente e dal passato.
Peraltro, lo sport è la cartina di tornasole della società: vedere una squadra nazionale europea vincere un Mondiale con calciatori africani non può non determinare un istinto naturale di accoglienza verso gli Europei del domani.
E, se la vittoria di un Mondiale è un collante sociale molto più forte di tanti dibattiti, non si può che essere soddisfatti per il successo odierno dei transalpini.
E noi Italiani quando vogliamo vincere il nostro Mondiale?
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