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L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro

domenica, 29 aprile 2018 13:10

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Mafalda Bruno
Sappiamo bene cosa si associa nella mente dei più il giorno del Primo maggio: fave e pecorino a Roma, le virtù, piatto tipico abruzzese, ed altre molteplici usanze italiane culinarie e non. Ma quello viene subito in mente è il concerto a San Giovanni e altre manifestazioni simili in varie città. Una volta in questo giorno ascoltavamo canzoni che, seppur con musichette nazional popolari, erano in grado di scuotere le nostre coscienze. Assieme al folclore noi pensavamo davvero, in quelle piazze piene, all’importanza del primo articolo della nostra Costituzione.
Non sono poi tanto lontani i tempi in cui, a ridosso del primo maggio, passavano macchine con tanto di altoparlante che ricordavano ai cittadini date e orario della manifestazione di piazza. I sindacalisti, questi sconosciuti, oggi si mostreranno al pubblico numeroso, l’audience serve, ma di solito non hanno più tempo da perdere con i lavoratori ed affiancare le loro proteste: no, oggi sono molto più impegnati a rincorrere carriere politiche, vuoi mettere la fatica che risparmiano e i vantaggi economici di cui beneficiano?
La situazione attuale sul fronte lavoro è pericolosamente instabile: il precedente governo ha fatto si dei passi importanti con riforme che hanno sortito effetti positivi, ma si deve ancora fare molto, mentre oggi, anche per l’instabilità politica che regna sovrana, l’indignazione per il grado di disoccupazione e precarietà sta non solo alzando l’asticella di sopportazione, ma sta conducendo verso un pericoloso immobilismo indifferente sulla scia del pensiero che tanto non cambierà niente. Che Primo maggio passeranno queste persone che, magari sfiduciate, il lavoro non lo cercano neanche più?
Quindi per certi versi festeggiamo, oggi, il non lavoro, assente e sconosciuto. Quanti giovani non hanno un’occupazione vera, una di quelle che ti permette di pianificare un minimo il futuro, accendere un mutuo per l’acquisto di una casa, unirsi in matrimonio, pensare ai figli che verranno: e non parliamo qui di aspirazioni lussuose, parliamo delle scelte di vita basilari per ogni cittadino.
Oggi il pensiero deve necessariamente andare anzitutto a chi ha perso la vita sul lavoro, vittime spesso di misure di sicurezza assenti o non debitamente applicate, ma anche agli esodati, ai cassintegrati, ai precari, a chi si trova in mobilità, a coloro che non vengono remunerati come dovrebbero essere, ai giovani costretti ad espatriare per vedere riconosciuti i loro meriti e titoli di studio.
L’augurio è che col tempo il Primo maggio riacquisti il suo valore simbolico e reale, e non venga paragonato ad un concerto da stadio dove fare cagnara tanto per passare un giorno di festa stile sagra del carciofo. Le nuove generazioni vanno educate ma soprattutto aiutate, in uno scenario di crisi occupazionale, a non fermarsi o rassegnarsi. A usare e sviluppare di più la loro creatività, ad allargare la loro mente, ad avere una visione ampia del lavoro che includa innovazione e tecnologia: strumenti che oggi, a differenza dei decenni passati, possono essere di notevole impulso ed aiuto.
Il lavoro deve essere riconosciuto come un valore: segno di riconoscimento di dignità di vita, perchè senza lavoro il futuro per le nostre nuove generazioni sarà buio.
Buio pesto.
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