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sabato, 07 febbraio 2015 16:36 |
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Rosario Pesce
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Con l’ufficializzazione del passaggio di otto parlamentari di Scelta Civica nel gruppo del PD, si compie un’operazione politica, tesa a modificare il dna di quel partito.
I deputati ed i senatori, protagonisti della transizione, sono stati eletti nel 2013 nelle liste collegate a Monti, per cui sono espressione di un progetto, che fallì miseramente all’indomani del voto, quando l’allora Presidente del Consiglio uscente comprese che la sua idea neo-centrista era destinata ad arenarsi nello scontro fra il Centro-Sinistra ed il Centro-Destra.
La notizia odierna non è essenziale per il fatto in sé: i parlamentari erano, già, nell’area dell’attuale maggioranza, sin dalla nascita del Governo Renzi, per cui i numeri in Aula non cambiano.
Molto significativo, invece, è il dato da un punto di vista sociologico-politico.
Il rassemblement montiano è espressione di ceti medio-alti borghesi, che oggi, in modo ufficiale, sposano Renzi ed il renzismo, per cui il Premier compie un ulteriore passo verso la modifica del profilo ideologico del suo partito, che, da formazione di Centro-Sinistra, tende a divenire sempre più centrista, mettendo nell’angolino la minoranza interna di Sinistra, che tuttora alberga nel PD.
Le conclusioni di un simile fatto, peraltro, sono naturalmente in contraddizione con le premesse del Governo in carica: Renzi ha sempre detto di perseguire un progetto alternativo a quello di Monti e dell’UE, che era all’insegna del rigore e dell’austerity.
Infatti, il Presidente del Consiglio, nel corso del semestre italiano di guida dell’Unione, ha tentato - anche se invano - di ammorbidire le posizioni tedesche, allo scopo di conciliare le esigenze finanziarie con quelle, ben più essenziali, dello sviluppo economico, che non può essere certo promosso, se gli Stati nazionali non realizzano nuovo debito e, quindi, non rinnovano ennesimi impegni di spesa.
Pertanto, pare discutibile il fatto che, nel partito di Renzi, entri ora una truppa di deputati e senatori, che, invece, due anni fa, sono stati eletti facendosi portatori di un messaggio antitetico rispetto a quello che, negli ultimi dodici mesi, lo stesso Capo del Governo ha cercato di imporre agli alleati continentali.
D’altronde, le politiche montiane furono, clamorosamente, bocciate dall’opinione pubblica, che, nel febbraio del 2013, riconobbe al Prof. della Bocconi un consenso, che raggiungeva stentamente il 10%, a fronte di un anno di gestione del potere, che avrebbe dovuto lasciare prefigurare una messe di voti ben maggiore.
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Quindi, Renzi dovrà spiegare, ai suoi ed all’intero Paese, quale sia l’effettivo orientamento del proprio Dicastero: continuare a chiedere agli organismi europei un allentamento dell’austerity, in favore di investimenti pubblici che, pur facendo sforare i limiti di bilancio, previsti da Maastricht, possano mettere in moto un ciclo virtuoso, oppure tornare al montismo di prima generazione, quando, per evitare il default, si modificò il sistema previdenziale, toccando diritti acquisiti di molti milioni di cittadini, che videro, nel corso di una notte, allungarsi la loro carriera, essendo costretti ad andare in pensione molto oltre i limiti previsti dalla normativa, fino ad allora vigente. La questione non è di poco conto, anche perché - nelle stesse ore - in cui i parlamentari montiani sono transitati nel gruppo del PD, il Governo Renzi ha dato un segno inequivocabile dei suoi indirizzi, confermando fiducia nell’operato della BCE e biasimando l’atteggiamento della Grecia, che ha deciso, unilateralmente, di non rispettare gli impegni presi con le istituzioni finanziarie continentali e, quindi, di non restituire le somme ingenti ricevute dall’UE nel momento peggiore della propria crisi.
Noi crediamo fermamente che le regole, fissate da Maastricht, vadano aggiornate, in quanto non sono sostenibili da un punto di vista né finanziario, né politico, per cui se la truppa di parlamentari montiani condizionerà il PD, promuovendo la difesa di un clima di austerity piuttosto che il rilancio, pur necessario ed urgente, di una provvidenziale spesa pubblica, non possiamo non dedurre che il renzismo sta andando incontro ad una pericolosissima involuzione, che non può che fargli perdere voti nel Paese, ad onta dell’ampliamento del gruppo parlamentare di Montecitorio e di Palazzo Madama.
Se, poi, fossimo in presenza dell’ennesima manovra trasformistica, tesa unicamente a tutelare un pezzo di ceto dirigente del Paese, che sale sul carro del vincitore, sapendo bene che questo è l’unico modo per garantirsi la rielezione al prossimo rinnovo della Camera ed - eventualmente - del Senato, il nostro giudizio non potrebbe che essere ulteriormente negativo, perché – allora – si ricaverebbe che l’idea originaria del leader rottamatore viene offuscata dalla prassi concreta di chi, cinicamente, tenta di espandersi in Parlamento, salvando spezzoni di partiti, ormai, desueti e colpiti dalla grave disaffezione popolare.
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