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Un Paese al limite

domenica, 07 gennaio 2018 09:00

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Rosario Pesce
Il nostro è stato, in passato, un Paese oggetto di conquista da parte di molti popoli, che - per un verso - ci hanno arricchito con la loro civiltà e, per un altro, ci hanno defraudato delle nostre ricchezze, in alcuni momenti in particolare.
È chiaro che la nostra posizione geografica, centrale nel bacino del Mediterraneo, ci ha favoriti in termini di sviluppo economico, ma ci ha anche penalizzati, perché ci ha resi vulnerabili da un punto di vista militare.
Soprattutto durante l’età moderna, la nostra fragilità è emersa in tutto il suo spettro, perché siffatta debolezza era causata dal nostro pervicace carattere.
Si sa bene che gli Italiani, a modo loro, sono un po’ anarchici, per non dire irrispettosi dell’autorità pre-costituita, per cui ineluttabilmente siamo stati vittima delle nostre guerre fratricide, scoppiate fra un campanile ed un altro ovvero fra lo Stato imperiale, da una parte, e la Chiesa ed i Comuni dall’altra.
Siffatta condizione ha determinato una conseguenza nefasta: il ritardo della nostra Unità nazionale, che è arrivata molti secoli dopo quella francese o britannica, in contemporanea con quella tedesca, ma si sa bene che la Germania ha, sempre, avuto anticorpi molto più forti dei nostri.
Ma, la conseguenza più nefasta non è stata tanto sul piano istituzionale, quanto su quello della morale pubblica, visto che quel senso di un legame con il proprio “privato” ha finito per prevalere su sentimenti più nobili di appartenenza e di identità, per cui la comunità nazionale ha avuto difficoltà nel riconoscersi in una costruzione, politica e statuale, che fosse universalmente riconosciuta da tutti.
Solo nel corso del Novecento, la guerra contro il Fascismo ha costituito un’autentica esperienza di carattere nazionale, ma si sa bene che finanche la Resistenza fu un fatto di pochi, visto che, mentre una sparuta minoranza di Italiani andava a combattere sulle montagne, gli altri preferivano riconoscere ancora l’autorità statuale del momento per paura o per convenienza.
Poi, con la nascita della Repubblica, l’ineluttabile contrapposizione fra Comunisti ed anti-Comunisti ha rappresentato un ulteriore segno dell’impossibilità di convergere, tutti, nella medesima direzione: negli anni Settanta, in particolare, una siffatta frattura ha avuto conseguenze sul piano militare, visto che siamo stati l’unico Paese d’Europa a conoscere il terrorismo per oltre un decennio, mentre in altre nazioni è stato sconfitto nel giro di pochissimi anni.
Poi, Tangentopoli, la Seconda Repubblica, le vicende degli ultimi anni: fatti, questi, che hanno ulteriormente diviso il Paese in “parrocchie”, gruppi, ultras, senza esiti favorevoli per l’Italia, se è vero che, nel corso degli ultimi venti anni, le condizioni sono complessivamente peggiorate ed il sentimento di appartenenza e di identificazione in un’unica comunità non solo non si è accentuato, ma a tratti si è affievolito viepiù.
Oggi, in particolare, per citare il titolo di un bellissimo film di Almodovar, siamo un Paese sull’orlo di una crisi di nervi: il passaggio elettorale del prossimo 4 marzo segnerà una svolta, ma si ignora in quale senso possa andare una nazione fortemente indebolita da una crisi economica, che dura ormai da dieci anni, e da una crisi di rappresentatività delle istituzioni democraticamente elette, sorta per effetto di leggi elettorali perverse che hanno tagliato di netto il rapporto fra eletti ed elettori.
Nei prossimi mesi, i tifosi di una parte e di un’altra saranno i protagonisti di un dibattito, dal quale preferiamo astenerci, visto che temiamo che le questioni serie non saranno prese in considerazione e saranno, piuttosto, prevalenti tesi e questioni che poco o nulla hanno a che fare con il bene di un Paese, che non ha più i primati che aveva un tempo in molti settori della produzione economica, artistica e della vita civile.
Forse, la condanna di Machiavelli, oggi, si sta consumando in modo cinico?
Il nostro spirito, incline alle distinzioni ed alle cortigianerie, prevarrà sulla necessità di una visione di insieme, l’unica che può farci decollare dall’attuale pantano nel quale siamo fermi?
O, forse, lo spirito di impresa e la genialità di qualche mente raffinata servirà, ancora una volta, a coprire le miserie quotidiane e ad illuderci su una ripresa, i cui segni sono assai flebili ed impercettibili quasi?
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