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mercoledì, 04 febbraio 2015 08:08 |
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Rosario Pesce
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Negli ultimi giorni, la televisione satellitare Al Jazeera ha consentito all’Occidente di conoscere le atrocità, che i terroristi dell’Isis hanno messo in scena ai danni di poveri prigionieri, arsi vivi all’interno di una cella costruita ad hoc o, peggio ancora, defenestrati e poi lapidati, solo perché accusati di essere gay.
È evidente che l’escalation di violenza, che si sta realizzando a poche migliaia di chilometri dalle nostre comunità nazionali, ci interroga sia nella veste di cristiani, sia di cittadini del mondo, che hanno la fortuna di vivere in contesti civili, nei quali qualsiasi forma di tortura e di violenza è bandita, ormai, da secoli.
Il mondo islamico, purtroppo, non ha conosciuto l’Illuminismo, per cui, finanche negli Stati moderati, il codice penale giunge a prevedere forme oscurantiste di violenza, che invero non raggiungono quelle inaudite dell’Isis, ma che sono - comunque - inconcepibili per noi Occidentali.
Infatti, il primo, essenziale problema che emerge, quando società e culture diverse vengono a confrontarsi fra loro, è l’armonizzazione dei rispettivi sistemi penali, dal momento che l’amministrazione della Giustizia è, insieme a quella della Sanità e dell’Istruzione, una delle tre priorità di qualsiasi Stato, laico o confessionale che sia.
È ovvio che la differenza fra l’Occidente cristiano e laico ed il mondo musulmano sia impareggiabile, anche nella prospettiva dei prossimi decenni, perché le premesse sono fin troppo distanti le une dalle altre: la nostra cultura parte dall’assunto fondamentale che la persona sia intangibile, per cui nessuna azione violenta può essere esercitata nei suoi confronti, mentre nella tradizione musulmana l’essere umano è un mero mezzo, attraverso cui si realizza il progetto di potere di una divinità monoteista, che non conosce il sentimento della “pietas”, come quella cristiana.
In avvenire, la presenza islamica in Europa e nel mondo atlantico non potrà che aumentare, per effetto dei flussi migratori, che fanno sì che milioni di disperati si trasferiscano dalle loro coste sulle nostre, dove ricevono accoglienza e la chance di costruire una vita, comunque, diversa da quella condotta in Paesi del Terzo Mondo, dove sovente mancano elementi essenziali per un'esistenza, appena, dignitosa.
Per cui, è inevitabile che, con questa fetta di umanità, l’Europa faccia i conti e, certo, non è sufficiente un sentimento - molto generico ed ipocrita - di amicizia e di prossimità verso lo straniero perché le due culture arrivino ad un confronto serio ed, effettivamente, produttivo.
Bisogna superare secoli di avversione fra Cristianesimo ed Islàm, vincere le resistenze e la repulsione, che le scene, sopra menzionate, possono suscitare in chi viene a contatto con quanti sono portatori di una cultura dissimile dalla nostra.
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Peraltro, non ci si può non domandare se sia legittimo ed opportuno proiettare immagini, così crude e disumane, che non possono non rinfocolare l’odio e l’avversione peggiore fra identità religiose distinte: infatti, la propaganda dell’Isis, come di qualsiasi altro gruppo terroristico, non può che trarre linfa vitale dalla pubblicazione di violenze tanto crude, quanto vili e gratuite, dal momento che le stesse susciteranno sentimenti altrettanto riprovevoli in chi le guarda e giunge a temere che la propria civiltà possa essere sopraffatta da persone, che non danno alcun valore alla vita né propria, né altrui.
Eppure, il tema della convivenza è quello decisivo, su cui si giocheranno i destini dell’umanità, tanto più fra un ventennio, quando il mondo sarà, ancora, più globalizzato di quello odierno, per cui sarà ineluttabile che la nostra società sia invasa di presenze portatrici di usi e costumi ben lontani dai nostri.
Inoltre, non si può dimenticare che l’Islàm non è solo quello povero, che possiamo incontrare all’angolo di strada, ma è anche quello ricchissimo e facoltoso, che, in virtù dei petrodollari, sta acquisendo i principali asset economici europei, per cui, nel giro di una generazione, le profonde trasformazioni del sistema capitalistico faranno sì che ci si possa venire a trovare in una condizione di sudditanza rispetto a chi ha il danaro sufficiente per comprare la compagnìa aerea di bandiera italiana o la squadra di calcio più importante del Regno Unito o il debito pubblico degli Stati in difficoltà, attraverso la costituzione di fondi ad hoc, che sono in grado - già oggi - di accedere in quantità copiosa all’emissione dei titoli di Stato dell’Italia, come delle altre nazioni del vecchio continente che presentano una finanza statale deficitaria.
È urgente, dunque, che la politica inserisca, fra le sue priorità, il dialogo autentico con chi è foriero di una cultura tanto diversa dalla nostra; altrimenti, il rischio di un’ennesima Crociata, dopo quelle combattute in età medioevale, non è peregrino e, soprattutto, non può non oscurare pesantemente la proiezione possibile del futuro dei nostri figli, perché – certo – nessuna società sana può nascere ed istituirsi sul conflitto permanente.
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