|
|
Rosario Pesce
|
|
È evidente che i nuovi media hanno mutato, in modo radicale, le forme non solo della comunicazione, ma della cultura più in generale.
Un tempo, i ragazzi dovevano imparare a leggere ed a scrivere, usando un codice comunicativo fatto di segni e di significati, per lo più, di natura letteraria.
Oggi, invece, per effetto della tecnologia, si è sviluppata quella che potremmo definire la sindrome “Windows”.
Come il computer non usa più un sistema operativo linguistico, ma iconico in fase di programmazione e di gestione dei dati, così la nostra intelligenza ha imparato a procedere per immagini e non per concetti.
Questo fatto nuovo, se per un verso ha il grande vantaggio di favorire e di moltiplicare la comunicazione, visto che un’immagine corre molto più velocemente di una costruzione complessa di tipo semantico, per altro verso produce un impoverimento notevole, perché ineluttabilmente si sviluppa l’intelligenza sintetica a danno di quella analitica, che diviene sempre più obsoleta rispetto alle esigenze di una società, come quella odierna, che ha vissuto la rivoluzione della telematica.
Attraverso le chat, i social, le tecnologie che usufruiscono delle opportunità dello spazio virtuale, è chiaro che circolano milioni di informazioni in più rispetto al recente passato, ma quali conseguenze produrranno, queste, sull’articolazione cognitiva dell’umanità fra qualche decennio?
È verosimile che le tecnologie, cosiddette compensative, non faranno altro che far proliferare forme degenerative, quali disortografia, disgrafia, dislessia?
La tecnologia funzionerà come possibile terapia rispetto ai fenomeni di decadenza cognitiva, in carico a giovani ed anziani, o sarà un acceleratore di un processo di costruzione di una società di individui e persone, che ignoreranno tutto ciò che non si può trasferire per mezzo di un codice, solo, iconico?
Ed, appunto, la tecnologia quale effetto produrrà sulla morale?
Saremo individui consumatori e fruitori di immagini, per lo più spazzatura, oppure saremo persone, cioè esseri in grado di produrre significati e forme di elaborazione intelligenti in favore del nostro simile?
Sono quesiti, che non possono che interrogare le moderne scienze, dal momento che l’invasione della telematica ha rapidamente modificato tutti gli ambiti del sapere, dalla fase della produzione dello stesso a quella della divulgazione, con effetti che oggi non sono, ancora, avvertibili in tutta la loro ampiezza.
Saremo degli autistici informatizzati?
O saremo intelligenze in grado di confrontarsi, anche, al di là dello schermo di un telefono o di un pc?
Certo è che la comunicazione deve comprendere il rinnovamento in atto ed assecondare i tempi, ma la politica, come qualsiasi altra manifestazione della vita e dell’intelligenza umana, non può ridursi a mero slogan, come pure è successo in questi anni, visto che le immagini l’hanno avuto vinta rispetto alle argomentazioni e al potere della discorsività.
Si ricorda che, alla fine degli anni Sessanta, in occasione di un Congresso nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro tenne un discorso che durò diverse ore, riuscendo a raccogliere l’attenzione dei delegati presenti nella sala.
È ovvio che, oggi, sarebbe impensabile ipotizzare un evento simile, perché la tempistica della comunicazione impone modalità ben diverse, ma invero non si può abdicare alla cultura politica, che rappresenta - pur sempre - la carta vincente in un contesto nel quale, invece, aspira a vincere chi urla più forte del suo avversario o antagonista.
Si può ambire, quindi, ad un ritorno dell’età del “lògos” o si è condannati a svendere i fenomeni di aggregazione ed a ridurli allo stato di momento, meramente, promozionale di fatti di natura simil-commerciale?
Dopo i programmi televisivi di Berlusconi e dopo i tweet di Grillo, forse lo spazio virtuale annullerà non solamente il piacere del voto in cabina, ma finanche quello del gioco più autentico e vitale della democrazia partecipata?
|
|