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lunedì, 26 gennaio 2015 11:20 |
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Mikimoz Capuano
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E’ un fenomeno sorto negli anni ’80 ma arrivato da noi nel 1990. Hanno sbancato e fatto sognare milioni di ragazzi con una fortunata serie tv e poi col fumetto e il merchandising derivato. Stanno conoscendo una nuova giovinezza con il marchio tornato attivo grazie a nuove declinazioni cartacee, animate e anche videoludiche. Un mito per molti, conosciuti da tutti: sono I Cavalieri dello Zodiaco, santi protettori della Dea Atena appena sbarcati anche al cinema grazie a un lungometraggio in computer grafica. Sulla scia dell’analoga operazione attuata con un altro simbolo dell’animazione, Capitan Harlock, anche qui si ha una rilettura della trama che catapulta lo spettatore all’interno della saga più emblematica dell’intera opera: quella del Grande Tempio.
Riadattare per il pubblico odierno una storia ben scolpita nel cuore dei fan è sempre ardua impresa. Pur potendo apprezzare le gioie di una CGI usata sapientemente, e una trama (per forza di cose condensata in un’ora e mezza) che cerca di raccontare il raccontabile, è il film stesso a scontentare gli aficionados di vecchia data e probabilmente non riesce a far presa nemmeno sulle nuove generazioni, stando anche ai risibili risultati ottenuti in patria come all’estero.
Molti personaggi non trovano il giusto spazio, specie quelli più amati; molti altri sono ridotti a macchiette (imbarazzante la scena in cui un cattivissimo Cavaliere si abbandona ad una canzoncina che scimmiotta lo stile Disney); altri ancora si ritrovano caratteri del tutto stravolti rispetto all’originale (e persino un cambio di sesso, nel caso del Cavaliere dello Scorpione).
L’edizione italiana è rivolta ai fan della vecchia guardia, proponendo il cast storico di doppiatori e un adattamento non fedele all’originale ma in linea con quello che ha reso famosi i Cavalieri qui da noi.
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Ma anche con questo accorgimento, agli occhi dell’appassionato il mito viene sistematicamente demolito. Perdendo ogni bagliore dell’ epicità che aveva contraddistinto l’opera in passato, il film racconta una storia priva di mordente che si riduce a una soporifera sequela di scontri, molti dei quali inutilmente fracassoni (complice la tecnica in GCI da sfoggiare). Per non parlare dei luoghi, che da templi greci diventano architetture improbabilmente futuristiche e fantastiche. Quando poi si assiste alla scena di Lady Isabel (incarnazione di una dea, sempre stata algida e perfetta) che si muove con ai piedi le crocs rosa e al polso un tamarro orologio di gomma… il colpo di grazia è dato. E non si tratta del Fulmine di Pegasus.
Un film dove poco o niente può essere salvato, sperando che serva da lezione: è sempre meglio raccontare ciò che il fan ama davvero, anche perché l’opera di base è così potente da poter piacere anche a chi ci si imbatte solo nel 2015.
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