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sabato, 25 marzo 2017 20:00 |
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Rosario Pesce
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Nell’anniversario della nascita dell’Europa e del suo primo nucleo di Stati, non si può non elaborare un giudizio retrospettivo sulla storia degli ultimi decenni, nel corso dei quali è stato messo in piedi il più importante e qualificante tentativo di realizzazione di un sogno straordinario.
Purtroppo, tale sogno, in alcuni momenti, non ha soddisfatto le aspettative, per cui oggi, in moltissimi Paesi dell’Unione, si registrano tendenze centrifughe, che rischiano - seriamente - di mettere in pericolo la visione onirica, che ha animato le intelligenze più vivide del Secondo Dopoguerra.
Era ineluttabile, quando si è proceduto a mettere insieme Stati che poco o nulla avevano in comune, ipotizzare che le difficoltà potessero non mancare lungo un percorso molto problematico e tutto in salita.
La differenza culturale, quella religiosa, le problematiche economiche e sociali, sono degli ostacoli che non possono non rallentare un percorso virtuoso, che fu avviato negli anni Cinquanta del secolo scorso, allo scopo di evitare guerre stridenti ed altri conflitti, che potevano - finanche - mettere fine all’espressione unitaria del nostro continente.
I vantaggi non sono mancati: dal 1945 in poi non si è più ripetuto alcun conflitto sul suolo europeo ed i Paesi hanno cominciato, molto lentamente, ad integrarsi fra di loro dopo la caduta del Muro di Berlino ed il crollo del Comunismo.
Ma, frattanto, le difficoltà emerse hanno fatto dimenticare i traguardi conseguiti.
In particolare, l’integrazione delle diversità, che dovrebbe essere l’obiettivo primario in questo scorcio iniziale di XXI secolo, appare sempre più un miraggio, anche perché il fattore religioso non dà, certo, una mano in tal senso.
Nel corso degli ultimi venti anni, il continente si è arricchito della presenza di moltissimi cittadini di fede musulmana, provenienti dall’Africa e dall’Asia, che hanno modificato non poco il volto di un’Europa, fino a quel momento, divisa solo fra le varie famiglie del Cristianesimo d’Occidente e di Oriente.
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È ovvio che, con il rinfocolarsi del terrorismo islamista, una tale presenza non solo non viene avvertita come un’opportunità, ma ancor di più viene sentita come una minaccia per degli equilibri consolidatisi nel corso di millenni.
Quello che, dunque, doveva essere un collante, è divenuto un fattore di frizione ulteriore, che aggrava viepiù gli effetti della crisi economica, che ha investito i Paesi europei per effetto della globalizzazione e delle sue conseguenze perverse.
In tal senso, il gap di rappresentatività delle istituzioni politiche europee non aiuta, invero, a creare le premesse di quel sogno, da cui l’Europa è partita negli anni Cinquanta del secolo scorso.
L’inclusione sociale è divenuta un miraggio e, molto spesso, le risorse economiche, spese per realizzarla, non hanno sortito gli effetti desiderati.
Non è, certamente, un caso se la disoccupazione e l’evasione dagli obblighi di istruzione, che sono due fattori essenziali per la disamina del grado di sviluppo di un ordinato consesso sociale, sono in crescita non solo nei Paesi del Mediterraneo, ma cominciano a divenire preoccupanti, finanche, nelle realtà del Nord scandinavo, dove erano fenomeni ignoti fino a pochissimo tempo fa.
In tale cornice, è opportuno ripensare la nuova Europa, quella delle opportunità, dei meriti e dei bisogni non soddisfatti, allo scopo di ridare forza a chi ha ipotizzato un mondo diverso e migliore di quello che, nel XX secolo, fu dilaniato dal Fascismo, dal Nazismo e dal Comunismo.
Ma, sarà possibile dar vita ad un mondo nuovo, in assenza delle necessarie premesse politiche e culturali?
O, forse, il sogno diventerà un triste incubo?
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