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sabato, 18 marzo 2017 23:44 |
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Rosario Pesce
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È evidente che il Paese sta vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia, sia per l’instabilità politica, sia per la crisi economica, che - ogni giorno - determina la chiusura di imprese e la perdita conseguente di posti di lavoro.
La vicenda dei voucher è l’ennesima dimostrazione che chi è al Governo ha sbagliato, in modo più che palese, moltissime delle sue scelte dell’ultimo triennio.
Dell’esperienza renziana, infatti, rimane poco o niente, visto che, con l’abrogazione della norma menzionata, tutti i principali atti di riforma di quel Governo sono stati cancellati o con un colpo di spugna da parte degli elettori, come nel caso della riforma costituzionale, o con sentenze della Magistratura, come nel caso della legge elettorale.
L’Italia, quindi, ha perso un triennio, di cui rimangono solo ceneri.
In primis, non hanno riguadagnato la loro legittimità quei partiti, che avrebbero dovuto, invece, ricostruirsi e ricollocarsi nella società italiana.
Non è un caso se l’ultimo partito, ancora in piedi, il PD, esce con le ossa rotte da questa legislatura, che si sta per concludere e che ha visto il protagonismo del suo principale leader.
Le istituzioni democratiche ne escono ancor di più delegittimate, visto che lo scollamento fra il Palazzo e la pubblica opinione è un dato di cui nessuno più si meraviglia, con conseguenze nefaste, dal momento che i cittadini, quando non si sentono più rappresentati, non possono che rifugiarsi nell’antipolitica e nel populismo, che - purtroppo - sono i mali maggiori del tempo storico, che stiamo vivendo.
Ancora, la società non ha compiuto sensibili passi in avanti in questo scorcio di inizio nuovo millennio, dal momento che, non solo, al suo interno i contrasti sono aumentati in modo sensibile, ma soprattutto essa appare frammentata e divisa in mille correnti - da un punto di vista culturale - nessuna delle quali è in grado di interpretare la sensibilità maggioritaria degli Italiani.
Infine, ci sono le nuove generazioni, quelle che oggi non vedono davanti a loro una prospettiva certa in termini professionali e che hanno, già, perso diritti ritenuti - un tempo - fondamentali, come la previdenza, visto che, quando andranno in pensione, essi non potranno più contare su alcuna forma reale di sostegno economico da parte dello Stato.
In questo contesto, finanche, la classe dirigente – quella dei grandi poteri economici ed accademici – rifugge da qualsiasi impegno nella dimensione sociale, ricercando unicamente il perseguimento di interessi egoistici, che invero non fanno bene a nessuno, visto che, quando una nave è abbandonata dal suo timoniere, è destinata - ineluttabilmente - ad arenarsi ovvero ad andare a fondo.
Pertanto, l’urlo di molte persone prive di voce non può che sensibilizzare un impegno civico, oggi carente, in favore di un progetto di società che, purtroppo, non solo è molto debole, ma non è prospettabile in alcun modo nel corso dei prossimi mesi.
Quindi, un tentativo di rinascita civica, teso ad un impegno maggiore in favore del futuro proprio e dei propri figli, non può che interessare vecchi e giovani, professionisti ed operai, perché la società del futuro è quel luogo dove noi tutti dovremo vivere e dove, in assenza di una collaborazione autentica di tutti, non potrà che prevalere l’egoismo più becero e distruttivo per giovani ed anziani, uomini e donne.
Ne saremo, mai, capaci?
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