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Rosario Pesce
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Il quesito, che tutti si pongono, è ovvio: quando si andrà al voto per il rinnovo delle Camere?
È evidente che la decisione della Consulta, tesa a rettificare l’Italicum, eliminando il ballottaggio, crea le premesse perché entrambe le ipotesi – voto nel 2017 o nel 2018 – siano egualmente percorribili.
La legge elettorale, prodotta dalla sentenza della Corte, è immediatamente applicabile, per cui tecnicamente si potrebbe andare alle urne, già, nella prossima primavera.
Ma, è evidente che, per ragioni di opportunità, il Parlamento ineluttabilmente tenterà di modificare un dispositivo, che, al momento, prevederebbe due sistemi di voto differenti per Camera e Senato.
Peraltro, l’abolizione del ballottaggio fa sì che, nel caso nessuno raggiunga il 40% di voti al primo ed unico turno, si avrebbe una Camera ingovernabile, perché nessuno degli attuali schieramenti avrebbe la maggioranza assoluta a Montecitorio.
È, quindi, inevitabile che si metta mano alla legge elettorale, ma in che senso?
Da più parti, è agognato il ritorno al Mattarellum, che prevederebbe un sistema elettorale misto per la Camera, in parte maggioritario, in parte proporzionale con liste bloccate.
Ma, le ipotesi devono scontrarsi con le volontà dei partiti, alcuni dei quali fremono per andare alle urne, mentre altri sono in una posizione di ragionevole attesa.
In primis, il PD, al suo interno, è scisso, visto che i renziani vorrebbero votare subito per evitare che il loro leader venga dimenticato, a breve, dalla pubblica opinione nazionale, mentre la minoranza intende costruire un percorso più articolato, che possa far decantare la situazione odierna, così da andare al voto nei primi mesi del 2018, alla scadenza naturale del mandato dell’attuale Parlamento.
Quale delle due tesi prevarrà?
La sensazione è che, eccetto Renzi, nessuno per davvero voglia sciogliere il Parlamento nel 2017, visto che nessuno, neanche il Movimento di Grillo, è al momento pronto per affrontare una campagna elettorale, che nasconde molte insidie e pericoli.
Infatti, Berlusconi è impegnato, per un verso, a difendere le sue aziende dalla scalata dei Francesi, per cui è ineluttabilmente distratto da altro, mentre i Grillini sono impegnati a far dimenticare agli Italiani gli insuccessi di Roma, che non poco discredito hanno gettato sulla capacità di gestione della cosa pubblica che la loro classe dirigente può, eventualmente, vantare.
La Destra estrema, quella di Meloni e Salvini, invece non ha interesse al voto immediato, perché non si è ancora conclusa la competizione interna a quello schieramento, in merito alla leadership che dovrà essere esibita agli Italiani al momento del voto.
Per cui, è molto probabile che la legislatura possa durare altri dodici mesi e che il Governo Gentiloni svolga la sua funzione di guida temporanea del Paese, in attesa che una nuova leadership, forte e condivisa, possa nascere a Sinistra o a Destra.
Ma, era proprio questo che volevano gli Italiani, quando hanno votano NO al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre?
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