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sabato, 30 luglio 2016 15:02 |
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Rosario Pesce
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Si ricordano, sempre più frequentemente, i protagonisti della scena politica della Prima Repubblica, forse perché quelli che sono sopraggiunti successivamente hanno messo gli Italiani nelle condizioni di rimpiangere il recente passato.
Orbene, una delle personalità, che si ricorda con maggiore piacere, è certamente Enrico Berlinguer, a dimostrazione del fatto che è caduta, finalmente, quella conventio ad escludendum che ha colpito in modo molto forte chi, in passato, si definiva comunista in un Paese, come il nostro, dichiaratamente anti-comunista.
Il ricordo di Berlinguer, inoltre, si arricchisce di un elemento ulteriore: la riflessione intorno alla natura, ideologica e programmatica, della Sinistra del XXI secolo.
Egli, infatti, fu il protagonista, alla fine degli anni Settanta, di un dibattito molto intenso intorno alla collocazione del PCI all’interno del nostro sistema politico-istituzionale.
I Comunisti, dopo le elezioni del 1976, furono, per ben due anni, parte integrante della maggioranza parlamentare, che governava l’Italia, pur non avendo nessuna rappresentanza nella compagine governativa.
Era la stagione della Solidarietà Nazionale, che purtroppo si concluse tragicamente nel 1978 con l’omicidio del Presidente della DC, Aldo Moro, che più di altri aveva lavorato per portare i Comunisti al potere, in alleanza con i Democristiani, lasciando tutte le altre formazioni in una condizione di mera marginalità parlamentare.
Da quel momento in poi – era la primavera del 1978 – per i Comunisti nacque un interrogativo molto importante: cosa divenire da adulti, visto che, fino ad allora, la loro capacità di autodeterminazione era stata molto limitata da fattori internazionali.
Berlinguer diede una risposta, invero, poco convincente: fallito il Compromesso Storico con gli avversari di sempre, portò i Comunisti ad essere relegati in una posizione di opposizione, da cui il PCI non sarebbe uscito più.
Egli fu spinto a portare avanti alcune questioni fondamentali per la vita pubblica del Paese, non accorgendosi che il suo tentativo avrebbe avuto più una valenza culturale, che non un’efficacia sul piano della concretezza dell’agire parlamentare.
Una fu quella del pacifismo, che sembrò di fatto l’ennesimo regalo alla Russia sovietica, in particolare in occasione della polemica con il Governo Craxi per la concessione delle basi militari americane per l’allestimento dei missili orientati contro il nemico moscovita.
Per altro verso, la questione morale, che fu il suo autentico cavallo di battaglia fino alla morte, avvenuta nel 1984, fu invero l’espressione più alta del pensiero di un intellettuale lucidissimo, incapace però di modificare il suo presente.
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Egli, infatti, denunciò la corruzione dilagante fra i partiti, dimenticando però di individuarne le cause e, soprattutto, di sottolineare la via d’uscita da una situazione, che sarebbe poi scoppiata in maniera evidente nel 1992, con Tangentopoli.
Berlinguer dimenticò che la corruzione era già esplosa ai tempi del Compromesso Storico, per cui i Comunisti per due anni, di fatto, governarono il Paese con quanti poi sarebbero stati accusati, da loro, di illiceità sul piano morale.
Anzi, il Compromesso Storico, segnando la fine di qualsiasi possibile forma di alternanza fra i due partiti maggiori della società italiana dell’epoca, fu un acceleratore di fenomeni di corruzione, visto che appunto non esisteva alternativa ad un quadro nel quale Comunisti e Democristiani erano “condannati” a governare il Paese insieme.
Inoltre, Berlinguer, annotando la corruzione altrui, corse il serio rischio di non essere in grado di sottolineare ciò che si muoveva intorno a lui stesso: il rapporto, ad esempio, fra i Comunisti e le cooperative meritava una seria riflessione da parte di chi era, certamente, molto onesto, ma forse incapace di emendare i difetti, in primis, della propria parte.
Così, il Berlinguer, che mori da eroe durante il comizio di Padova, è giustamente divenuto un’icona per quanti credono in una Sinistra ed in un’Italia oneste ed evolute sul piano morale, ma forse fu scarsamente efficace nel perseguire un’autentica azione di rinnovamento, che avrebbe potuto eliminare alla radice le problematiche messe in evidenza, solo, sul piano meramente teorico.
Certo, la statura intellettuale di Berlinguer non si discute ed egli appare un gigante, tanto più rispetto ai nani ed alle ballerine odierne, ma molto probabilmente, anche, i limiti della sua azione politica sono alla base della degenerazione etica, che è conseguita - tragicamente - dopo la stagione dei grandi cambiamenti degli anni Settanta.
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