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martedì, 06 gennaio 2015 22:30 |
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Situazione aggiornata a gennaio 2015 - da: http://it.wikipedia.org/wiki/Euro#mediaviewer/File:Eurozone_participation.svg
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Rosario Pesce
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Fino a qualche tempo fa, era la Germania, che imponeva a tutti gli Stati europei di rimanere nei limiti fissati dal Trattato di Maastricht, allo scopo di difendere l’euro e, quindi, l’unità monetaria dell’intero continente, tant’è che, quando Irlanda, Portogallo e Grecia sono andati in difficoltà, il Cancelliere tedesco è stato il primo attore a promuovere la costituzione di un Fondo salva-Stati, allo scopo essenziale di tenere in piedi le finanze di nazioni, che - altrimenti - avrebbero dovuto dichiarare fallimento.
Domenica, 4 gennaio 2015, sul Der Spiegel, giornale molto importante di Amburgo, è stata pubblicata una notizia shock: la Germania non sarebbe contraria all’uscita della Grecia dalla zona euro, qualora - come appare probabile - le elezioni delle prossime settimane dovessero essere vinte dal partito di Sinistra Syriza, guidato – come è noto – da Tsipras.
La notizia, ancora da verificare, ma molto attendibile, vista l’autorevole fonte, cambia radicalmente lo scenario.
La Germania, accertata l’impossibilità, da parte di alcuni Stati, a tenersi entro i paletti fissati dai Trattati, starebbe pensando ad una nuova prospettiva continentale, che vedrebbe di fatto l'Europa, di nuovo, divisa: da una parte, quella settentrionale, che continuerebbe a stare insieme, guidata dalle regole di Maastricht, e da un’altra parte un’Europa di serie B – quella, fondamentalmente, mediterranea – che tornerebbe ad avere una moneta nazionale, potendo contare su margini, nel debito sovrano, ben maggiori di quelli dei Paesi nordici.
Se così fosse, si aprirebbe uno scenario notevolmente differente, anche, per l’Italia: nessuno dei partiti governanti, nel nostro Paese, ha mai nutrito finora l’aspirazione a farci uscire dall’area euro.
Gli unici, infatti, che da qualche anno continuano a ripetere tale refrain sono la Lega ed il M5S, che crediamo, invero, non avranno in futuro la forza per andare al Governo e, pertanto, non potranno mai, effettivamente, spingere la nazione fuori dal milieu europeo, nel quale - ormai - siamo collocati stabilmente.
Però, c’è un dato, sui cui riflettere: se l’iniziativa di uscire non partirà mai da Roma, l’ipotesi di una nostra espulsione potrebbe nascere – legittimamente – a Berlino, visto che necessitano non solo i dati contabili e finanziari, per consentire ad un Paese di stare – ancora – seduto al tavolo delle potenze nordiche.
L’Italia ha, comunque, un’economia più forte di quella di Irlanda, Portogallo e Grecia, per cui pensiamo che, per quanto possa aggravarsi la condizione economica, il nostro Paese non potrà trovarsi nella medesima situazione di Atene.
Invece, ci appare molto più probabile che l’Italia possa, progressivamente, essere messa in una posizione sempre più periferica negli equilibri continentali, perché – questo è il giudizio della Merkel e dei Tedeschi – siamo, sostanzialmente, poco o per nulla affidabili.
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Anche, la vicenda di Natale, relativa al varo da parte del Governo di un provvedimento, che depenalizza il reato di evasione fiscale, consumata entro il 3% dell’imponibile dichiarato, invero non incrementa la nostra credibilità agli occhi di chi è cresciuto con una mentalità protestante, fortemente rigorosa da un punto di vista morale, tanto più quando in gioco sono interessi pubblici e non meramente di natura privatistica.
D’altronde, indipendentemente dalla relazione con la vicenda penale di Berlusconi, quale può essere l’affidabilità di un Paese, che estingue per decreto un reato infame, se l’evasione commessa si tiene entro determinati limiti finanziari, ritenuti non pericolosi per la salute stessa delle casse dello Stato?
Un reato o è tale o non lo è: non può certo nessuna soglia, costruita ad arte per Tizio piuttosto che per Caio, estinguere la colpa del reo, riducendo un fatto, che avrebbe un rilievo penale molto grave, a mera vicenda di ordine amministrativo, a cui si può porre rimedio, in sede contabile, con la sola restituzione dell’oggetto della frode o, peggio ancora, con il pagamento di una multa, con la quale lo Stato potrebbe rivalersi - in modo assolutamente parziale - di ciò che gli è stato tolto con dolo o con colpa grave.
Obiettivamente, la vicenda del comma, aggiunto al decreto legislativo in materia di condono fiscale, rappresenta una delle pagine più brutte della storia recente, indipendentemente – ripeto – dall’eventuale interesse berlusconiano, teso a rimuovere gli effetti penali della sentenza di condanna definitiva, pronunciata dalla Corte di Cassazione nell’agosto del 2013.
Infatti, non solo viene messo in discussione il principio di eguaglianza giuridica, previsto dall’articolo 3 della Costituzione, perché - a parità di reato commesso - un cittadino italiano verrebbe perseguito, mentre un altro verrebbe lasciato a piede libero, ma – cosa ben più grave – si mette in discussione lo stato di salute dell’Erario, dato che la guarentigia del 3% sull’evasione fiscale costituisce - in termini finanziari - un motivo di ammanco notevole per lo Stato, qualora tutti i lavoratori autonomi decidessero di farvi ricorso, incentivati in tal senso dall’assenza del deterrente della condanna penale.
Per tal motivo, considerato poi l’atavico stato di sofferenza dei conti pubblici italiani, è evidente che qualcuno - dalle parti della Cancelleria di Berlino - possa stufarsi di continuare a stare insieme a chi, addirittura, depenalizza un reato che sottrae risorse alla comunità, quando questa ne ha più bisogno, per finanziare la scuola pubblica o la sanità o i servizi sociali.
Forse, hanno ragione i Tedeschi a considerarci inaffidabili?
Un tempo, lo pensavano per le vicende legate al famigerato – per loro – armistizio dell’otto settembre 1943; oggi, lo pensano, invece guardando con sempre maggiore sconforto a ciò che si muove nello scenario istituzionale di una nazione, dove chi agisce con dolo, per non pagare delle tasse dovute, rischia di divenire - finanche - Padre della Patria.
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