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martedì, 17 marzo 2015 21:21 |
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Rosario Pesce
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La notizia del giorno è, invero, rappresentata dagli arresti, che hanno coinvolto noti dirigenti del Ministero delle Infrastrutture, fra cui un funzionario di valore apicale, che avrebbe – stando alle accuse mosse dalla Procura – diretto un giro di corruzione che, da decenni, imperversava in quel Dicastero.
Non intendiamo, naturalmente, entrare nel merito delle accuse promosse dalla Procura di Firenze, anche perché facciamo nostro il principio di garantismo, per cui una persona è colpevole solo dopo pronuncia definitiva, quindi all’indomani del terzo grado di giudizio.
Pertanto, non è nostro interesse anticipare il processo, che si svolgerà nelle sedi opportune, quando ci sarà il rinvio a giudizio degli arrestati.
Certo è che la vicenda, indipendentemente dai risvolti giudiziari, che potrà avere nei prossimi anni, riguarda direttamente il Presidente del Consiglio, perché il Ministro pro-tempore Lupi, pur non essendo destinatario di nessun addebito da parte dei giudici, ha comunque la responsabilità politica di aver difeso - finanche, in pubblico - l’operato dei dirigenti, che oggi si trovano sotto inchiesta.
Ripetiamo: Lupi non è indagato, ma non può non rispondere - per vie politiche - della protezione, che ha garantito al funzionario responsabile dei fatti contestati dalla Magistratura, visto che, molto probabilmente, al suo posto, altri Ministri si sarebbero comportati diversamente, come fece molto opportunamente Di Pietro, che, ai tempi del secondo Governo Prodi, conoscendo il curriculum del dirigente in questione, molto più saggiamente decise di allontanarlo da qualsiasi incarico, che potesse risultare sensibile in termini di responsabilità penali.
Lupi non solo non ha rimosso, a tempo debito, il dirigente oggi incarcerato, ma lo ha anche reiteratamente tutelato, quando la Presidenza del Consiglio dei Ministri - nello scorso mese di dicembre - voleva procedere a rimuovere la struttura di potere creatasi all’interno del Dicastero delle Infrastrutture, oggi attenzionata dai giudici per i fatti, che sono, frattanto, emersi.
In un Paese diverso, come la Germania, benché non indagato, un Ministro della Repubblica, in condizioni analoghe, si sarebbe dimesso, non aspettando l’invito, in tal senso, proveniente dal Presidente del Consiglio o dallo stesso partito di appartenenza.
In Italia, ciò è ancora lontano dal consumarsi, per cui è molto probabile che Lupi possa rimanere al suo posto, nonostante la responsabilità politica, che gli si può, chiaramente e serenamente, contestare.
Certo è che la questione in esame è delicatissima, visto che il suddetto Ministro è uno dei più potenti componenti dell’intera compagine di Governo, per cui, se dovesse essere dimissionato dal Premier, il suo partito potrebbe giungere a sfilarsi dalla maggioranza.
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Si sa bene che i voti del NCD sono essenziali, perché Renzi possa continuare a governare, per cui non crediamo all’ipotesi di dimissioni volontarie da parte di Lupi, almeno nell’immediato.
Ma, comunque si concluda la spiacevole vicenda in esame, la questione politica è ben più ampia e riguarda il rapporto fra i poteri dello Stato, in particolare fra l’Esecutivo e la Magistratura, dato che, dai tempi dei Gabinetti presieduti da Berlusconi, non si ricordava una relazione così sofferta e problematica fra le toghe e l’inquilino di Palazzo Chigi. Un dato è sicuro: il nostro Paese – come si evince, finanche, da particolari graduatorie stese da organismi internazionali – è fra quelli, maggiormente, esposti al rischio di corruzione, che erode centinaia di milioni di euro e che costituisce, pertanto, il principale freno allo sviluppo dell’economia nazionale.
In un quadro siffatto, pertanto, sarebbe stato necessario ben altro impegno del Governo nel fronteggiare la corruzione dilagante.
Invece, i segnali offerti sono stati contraddittori fra di loro: alla nomina del Giudice Cantone alla Presidenza dell’Authority Anti-Corruzione non ha fatto il paio il varo della legge contro i fenomeni di corruttela, così come la decisione di inasprire le pene previste per il reato di falso in bilancio, purtroppo, fa seguito alla volontà - manifestamente divergente - di riformare la Legge Severino, in riferimento in particolare ai reati contro la Pubblica Amministrazione, che fanno scattare la decadenza per politici ed amministratori degli Enti Locali condannati, almeno, in primo grado.
Come si vede, uno o più segnali positivi si associano ad uno o più negativi, per cui molti settori della pubblica opinione, se dovessero essere chiamati a dare un voto alla politica del Governo in siffatto settore, ineluttabilmente sarebbero condizionati da atteggiamenti non univoci, che non fanno bene alla nazione.
Un provvedimento, però, in tale contesto è stato varato: quello che prevede la responsabilità civile dei Magistrati, che rischia di inasprire, ulteriormente, i rapporti fra potere giudiziario e Governo, visto che la legge, appena entrata in vigore, è sembrata a molti uno schiaffo contro la Magistratura, fin troppo attenta a perseguire i reati della politica, anteponendoli a quelli commessi da privati cittadini o da esponenti di rilievo del potere economico.
In tale disputa, preferiamo non entrare, visto che i dibattiti, condotti - negli ultimi venti anni - intorno alle problematiche giudiziarie, hanno portato ad uno scontro ideologico, senza soluzione di continuità, fra garantisti e difensori delle toghe, che non ha fatto fare significativi passi in avanti ad un Paese, impegnato ad eradicare un tumore, che può essere letale per la nostra economia.
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Ci interessa, però, fare una riflessione all’insegna della saggezza e della moderazione: chi, negli ultimi decenni, ha avviato una guerra santa contro i giudici, generalmente non n’è uscito bene, perché - come insegnano i casi Craxi e Berlusconi - il potere giudiziario ha, inevitabilmente, messo in rilievo i reati di chi voleva arrestare il percorso della Giustizia, per cui li ha perseguiti secondo legge, di fatto arrestando bruscamente la carriera di chi, altrimenti, sarebbe arrivato, probabilmente, ai vertici dello Stato.
Alla luce di siffatti precedenti, sarebbe opportuno che il potere politico si dimostrasse ben più saggio ed avveduto, quando interloquisce con l’ANM e con il mondo organizzato della magistratura italiana, perché, oggi, nel Paese la corruzione in particolare è avvertita, di nuovo, con grande allarme dai cittadini, che - non a caso - disertano spesso le urne, visto che non hanno fiducia nell’onestà di chi li governa.
Quindi, per ristabilire un clima sereno e proficuo, sarebbe cosa buona e giusta che il Governo tornasse ad usare parole distensive verso l’altro potere dello Stato, perché, altrimenti, si crea un cortocircuito, che può danneggiare chi ha necessità del consenso, per continuare a stare nelle istituzioni in una posizione apicale.
Dunque, per migliorare la condizione generale, sarebbe auspicabile che i politici, finanche quelli non indagati da un punto di vista formale, ma comunque coinvolti mediaticamente da eventuali cicloni di indagini, come nel caso del Ministro Lupi, facessero volontariamente un passo indietro, doveroso per ristabilire la necessaria fiducia fra cittadini e Stato, ben sapendo che gli stessi esponenti - una volta chiarite le proprie posizioni politiche, prima ancora che giudiziarie - possono tornare, finalmente rilegittimati, a misurarsi nell’agone parlamentare.
Renzi avrà la forza per dimissionare Lupi e per dimostrare che il Governo è pronto ad intervenire preventivamente, perfino in assenza di provvedimenti restrittivi della libertà dei suoi più illustri componenti?
La politica, in generale, o si darà una svolta in tal senso o rischierà - per davvero - di essere travolta da un’ondata demagogica e populistica, che già ora si preannuncia molto intensa e forte.
Saprà, dunque, il Premier offrire un segnale di cambiamento tanto inequivoco per i partiti, quanto chiaro per gli elettori, che hanno creduto al suo fattivo impegno contro il malcostume e la criminalità organizzata?
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