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Rosario Pesce
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Uno dei problemi, che può acuirsi per effetto dell’emergenza sanitaria che il nostro Paese sta vivendo, è quello del disagio mentale di molti nostri concittadini, che abituati ad avere una vita sociale, nei limiti delle loro patologie, si trovano ora ad essere reclusi per intere giornate dentro casa, non potendo né uscire, né incontrare i propri riferimenti.
Peraltro, un dato, che è sensibilmente in crescita in questi giorni di quarantena, è il numero di suicidi: molte persone, che già vivono condizioni di depressione, decidono di mettere fine alla loro vita terrena per paura del morbo, che in Italia ha mietuto molte più vittime che altrove, almeno in rapporto al numero dei contagiati ufficializzati dalla Protezione Civile.
È evidente che, se la quarantena dovesse continuare per molti giorni ancora, tali situazioni di disagio psichico rischiano di divenire ingestibili e potremmo trovarci di fronte ad una vera e propria impennata di suicidi, oltreché a molte situazioni di difficile gestione all’interno delle mura di casa.
Cosa fare di fronte a simili eventi?
È evidente che le strutture sanitarie competenti stanno monitorando casi di questo tipo, ma è anche altrettanto vero che diviene difficile un monitoraggio approfondito, quando non si ha la possibilità di andare a casa del paziente o di intuirne, per tempo, i segni che possono prefigurare gesti inconsulti.
Anche per questo motivo, per una tale fattispecie, la norma primaria potrebbe prevedere delle deroghe al regime di quarantena, perché è evidente che una “segregazione” domestica prolungata non può che accentuare le criticità di chi vive problemi di natura neuro-psichiatrica.
È ovvio che, in tempi di guerra, il fio maggiore lo pagano i più deboli ed è ineluttabile che, in momenti tristi come quelli odierni, siano i malati di mente ed i depressi ad essere una categoria a rischio, per cui la loro eventuale morte, anche se non cagionata direttamente dal Covid, certamente può essere riconducibile allo stesso in caso di suicidio o di gesti potenzialmente pericolosi per sé e per i familiari.
Come si arguisce, i drammi non vengono mai da soli, ma producono sovente una scia di lutti e dolori, da cui l’umanità non può che trarre insegnamento per le future generazioni, se la storia è - ancora - maestra di vita.
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