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Rosario Pesce
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L’antisemitismo sembra non essere mai stato eradicato del tutto dalla società odierna, se una donna - come Liliana Segre - ha bisogno della scorta.
Peraltro, il fenomeno assume delle forme carsiche: scompare per anni – o quanto meno la cronaca non riporta episodi clamorosi – e poi, d’un tratto, riemerge in tutta la sua drammaticità.
Le inquietudini, che ne derivano, non possono che interrogare l’animo di chi teme che il nostro recente passato – quello dei campi di concentramento – possa tornare.
È ovvio che ogni paragone con quanto successe negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso può apparire fuori luogo e ridondante, ma è altrettanto vero che gli anticorpi contro simili fenomeni potrebbero essersi indeboliti e cagionare, quindi, delle conseguenze imprevedibili.
Inoltre, non si può non rimarcare come, finanche, la politica ha una responsabilità - non piccola - su di un simile tema.
È chiaro che alzare la voce contro gli Ebrei e contro gli stranieri, più in generale, può essere utile in termini elettoralistici, ma è altrettanto ovvio che chi aspira ad essere uno statista non può certo rinfocolare i sentimenti peggiori dell’Uomo, che in un recentissimo passato hanno causato la morte di milioni di innocenti, che avevano l’unica colpa di appartenere ad una razza e ad una religione diverse da quelle della maggioranza dei cittadini europei.
Su queste premesse, se si percorre la strada dell’antisemitismo per cogliere un utile alle prossime elezioni, è evidente che non solo non si costruisce una comunità, ma soprattutto si rischia di mettere in crisi le fondamenta su cui si sono retti gli Stati democratici dal Secondo Dopoguerra in poi.
L’umanità può essere così stolta da tornare indietro di un secolo, replicando una traccia che ha portato solo morti e devastazioni?
Se così fosse, non solo la storia non sarebbe più maestra di vita, ma correremmo il serio rischio di non poter più raccontare la storia dell’Europa dei prossimi anni.
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