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Rosario Pesce
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Nella giornata del 26 novembre 2018 è finita, in modo ufficiale, la vita del Banco di Napoli, il principale istituto di credito del Sud nato nel 1539, quando il Regno di Napoli era in auge, visto il collegamento molto stretto con la Corona spagnola e visto il primato che la città partenopea aveva nei traffici commerciali all’interno del Mediterraneo.
Con la fine del Banco di Napoli ed il suo definitivo assorbimento nel gruppo Intesa-Sanpaolo, si chiude così una pagina di storia essenziale per comprendere la questione meridionale e per approfondire i rapporti fra il Nord ed il Sud del Paese.
È ben noto che, quando nel 1861, nacque lo Stato italiano, quello più ricco in termini finanziari era il Regno del Sud, che per la sua debolezza politica venne detronizzato dai Piemontesi.
Gran parte delle ricchezze della famiglia Borbone era conservata nei forzieri del Banco di Napoli, le cui riserve - aurifere e monetarie - furono utilizzate per pagare i costi della Seconda Guerra di Indipendenza e tutti quelli che derivarono dalla guerra che il Regno Sabaudo aveva messo su per espandersi sulla penisola intera.
Nato come Monte di Pegni, il Banco di Napoli è giunto a livelli di potere finanziario e politico, davvero, notevoli.
Nonostante la crisi degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta del secolo scorso, tuttora il patrimonio artistico, che detiene il Banco, è di livello unico in Europa, a dimostrazione del fatto che, nel corso dei secoli, chi ha diretto quella banca ha realizzato una provvidenziale politica di mecenatismo.
È ovvio che la riduzione del Banco di Napoli alla proprietà di un Istituto, quale Intesa-Sanpaolo, che vive per lo più al Nord, fra Milano e Torino, non è una buona notizia per il nostro Mezzogiorno, perché è un ulteriore pezzo di una storia che si esaurisce.
Ormai, i centri di potere si sono trasferiti altrove e l’accorpamento degli istituti bancari italiani serve solo a rendere le nostre Banche concorrenziali con quelle europee, americane e cinesi.
Ma, frattanto va via, in modo definitivo, una fase di storia del credito e della società meridionale, che ha consentito al Sud di primeggiare, quando la prima globalizzazione - quella del XIX secolo - imperava e faceva una selezione molto forte fra i soggetti in grado di competere sul mercato mondiale e quelli che, invece, dovevano retrocedere.
In quel momento storico, Napoli valeva quanto Parigi, Madrid e Londra; oggi, purtroppo, la nostra economia è in fase di involuzione e, forse, qualcuno ha iniziato ad intuire che, da quando l’Europa ha trascurato il Mediterraneo, volgendo lo sguardo solo al Mar del Nord, essa è diventata l’orticello della Germania e questo è il principale fattore di politica economica che ha generato gli effetti di questi anni di repulsione verso l’Unione, che si presenta come il mero ampliamento dell’area di mercato tedesca.
Ma, questa è già un’altra storia, che deve essere ancora scritta in modo compiuto.
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